Roveja può suonare quasi come la parola magica capace di dare inizio ad un incantesimo. Ma c’è anche chi la chiama roveggia, pisello dei campi, robiglio. Poco importa il nome quando si indica un legume una varietà di pisello, per l’appunto – dall’origine antichissima, importato in Europa dal Medio Oriente e oggi coltivato da pochi, pochissimi agricoltori, tra Umbria e Marche. Un tempo, per i pastori e per i contadini, la roveja (sì, a noi piace chiamarla così) era un alimento di fondamentale importanza coltivato sugli Appennini umbro-marchigiani, in particolare sui Monti Sibillini la cui coltivazione, piano piano, vista la fatica e lo spopolamento delle zone montane, si abbandonò. In Umbria dove la terra e gli animali sono ancora al centro di gravità per un sistema che ruota intorno alle eccellenze enogastronomiche e tipicità, negli ultimi anni c’è ancora qualcuno, anche qualche giovane imprenditore della terra, che si è appassionato alla roveja e ne ha riportato in vita la coltivazione.
I LUOGHI DELLA ROVEJA
È soprattutto nella zona di Civita, frazione della città natale di Santa Rita, che a circa 1100 metri di altitudine si coltiva questo prodotto simile al pisello, il cui seme ha una colorazione che varia dal grigio al verde scuro fino al marrone. È all’inizio della primavera che viene seminata una specialità che sarà raccolta, rigorosamente a mano, tra la fine di luglio e l’inizio di agosto. Dopo essere stata battuta ed essicata può essere consumata fresca o in alcune delle ricette che in queste campagne si tramandano di generazione in generazione.
Commestibile sia fresca che essiccata, la roveja è ricca di proteine. Ingrediente perfetto per gustosissime zuppe. Spesso abbinata a fave e cicerchie, può essere accostata anche a patate, carote e sedano, ma persino a guanciale e salsiccia. Se macinata, dà vita ad una farina dal gusto un po’ amaro utilizzata per preparare la “farrecchiata”, una polenta poi condita con un battuto d’olio, aglio e acciughe.
