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Anno Domini 1500. Scenario di questo tragico evento, la Perugia del Rinascimento. Protagonisti, la casata che dominava la città non ancora del tutto assoggettata alla forza papalina, la famiglia Baglioni.

Stirpe nobile e potente nella città del Grifone, se da una parte veniva rispettata e ben vista dalla popolazione, le invidie e la corsa per il potere ne fecero le vittime di un ordito piano atto ad eliminarne i membri più importanti, al fine di prenderne il posto per il comando della guida politica ed economica del centro Italia.

Nel mese di giugno ebbero luogo le nozze del figlio primogenito di Guido Baglioni, Astorre, con Lavinia Colonna, rampolla di una delle più influenti famiglie della capitale. Si parla di festeggiamenti enormi, Perugia venne allestita con paramenti, addobbi, ristrutturazioni di strade e di facciate delle abitazioni volute da Simonetto Baglioni, il cugino dello sposo. Tutti i lavori costarono una cifra enorme, una spesa che ammontava a circa sessantamila fiorini. Lo storico umbro Maturanzio, che scrisse in maniera dettagliata di tutta questa oscura faccenda, disse che mai la città fu tanto “suntuosa e magnia” come in quei giorni di festa.

La sposa entrò in città il 28 giugno da Porta Sant’Antonio, con un grande seguito di servitori, vestita da un abito ricamato d’oro e la capigliatura ricoperta di perle. La coppia andò dapprima alla festa indetta in loro onore nella Piazza di Santa Maria dei Servi che durò sino a tarda notte, quindi si ritirò nello sfarzoso palazzo di Grifonetto, altro cugino di Astorre, messo ad uso della coppia in quanto la dimora dei novelli sposi non era ancora pronta.

Pare che durante la notte si scatenò un violentissimo temporale che distrusse gran parte delle decorazioni cittadine, le quali furono ricostruite nuovamente il giorno seguente. Alcuni cittadini videro nella tempesta un’avvisaglia infausta, un segno malevolo del fato che annunciava guai.

Naturalmente i festeggiamenti proseguirono, dapprima presso Porta Sole e quindi a Porta Santa Susanna. Balli, canti, fiori, ricche vivande, frutta e ovviamente vino, il tutto senza badare a spese e nel pieno della più conviviale gioia civica.

Ma il demone della discordia, che da tempo serpeggiava in casa Baglioni, era pronto a sovvertire l’allegro clima che si stava vivendo. Stava nascendo un complotto, una tremenda congiura atta ad uccidere i principali membri della casata e l’occasione delle nozze di Astorre e Lavinia era il momento perfetto per togliere di mezzo ,in un sol colpo, tutte le vittime designate.

Non è ancora del tutto chiaro, da un punto di vista storico, chi fu la mente a capo della cospirazione; secondo gli storiografi di allora e forse anche secondo il mito che si è creato attorno a questa sinistra vicenda sembra sia stato Giulio Cesare Varano, signore di Camerino, l’originale fautore del piano omicida. Egli era imparentato con la nobile famiglia perugina ma ne invidiava la ricchezza che agognava per sé solamente; decise così di trovarsi dei seguaci al fine di portare a compimento l’orrendo piano. Il primo fu il nipote Carlo, detto Barciglia, anch’egli invidioso dei sui illustri parenti, che a sua volta convinse il cognato Girolamo della Penna e Filippo di Braccio, anche lui imparentato con i Baglioni, ma “bastardo” in quanto di padre ignoto, a cui fu promesso di farlo gentiluomo se fosse riuscito a far entrare nella congiura anche il giovane Grifonetto, di cui Filippo era zio e tutore. Come in un dramma elisabettiano, come agirà Iago nell’Otello di Shakespeare, Filippo puntò sulla gelosia confidando a Grifonetto che la sua giovane sposa Zenobia era oggetto dei  corteggiamenti di Giovan Paolo Baglioni, membro della nobile casata che godeva della fama di grande seduttore. Probabilmente la calunnia era falsa, ma Grifonetto si fece persuadere e si unì alla cospirazione.

Fu scelta come data della congiura il 14 luglio, giorno in cui Giovan Paolo sarebbe tornato in città dopo aver portato a termine una spedizione punitiva a Todi, così da avere a portata di mano tutte le vittime. Quella sera, i vari membri della famiglia Baglioni si recarono alla Chiesa di Santa Lucia per la cerimonia del perdono e dell’indulgenza; finita la messa, dopo un aver banchettato, la compagnia si sciolse per andare finalmente a coricarsi, cosa che accadde intorno alla mezzanotte.

I cospiratori si riunirono tutti in casa del Barciglia per mettere appunto gli ultimi dettagli del piano; per ognuna delle vittime fu designato un assassino che doveva essere accompagnato da un plotone di quindici uomini; altre quindici persone dovevano essere appostate fuori dall’abitazione dello sventurato, così da impedirgli ipotetiche fughe o eventuali soccorsi.

Il segnale di inizio dell’operazione omicida sarebbe stato il lancio di una grossa pietra dalle mura del palazzo di Guido Baglioni. E così avvenne.

La pietra venne scagliata, il tonfo fu forte, tanto da destare dal sonno Simonetto. Il giovane Baglioni stava dormendo insieme ad un ragazzo da lui amato di nome Paolo, si alzò dal talamo e con addosso solo la veste da notte, intuendo che stava accadendo qualcosa di sinistro, afferrò la spada e lo scudo e si scagliò contro gli assassini che nel frattempo stavano sfondando la porta della camera. Il prode Simonetto riuscì a farsi largo tra i nemici, attraversò stanze e scale, fino a giungere sulla strada ma, invece di scappare, continuò a battersi da solo contro tutti gli uomini appostati all’ingresso dell’edificio. Battagliò con coraggio fino all’estremo delle forze ma venne sopraffatto dai suoi avversari.

Anche Astorre fu raggiunto dai suoi aguzzini in camera da letto, tra questi vi era anche Filippo di Braccio. Il giovane sposo era praticamente nudo e disarmato, ma si gettò comunque nello scontro, tentò di opporsi valorosamente ma cadde presto ucciso, nonostante l’estremo tentativo di Lavinia di proteggerlo facendogli scudo col suo corpo. Leggenda vuole che a questo punto Filippo, squarciato il petto del povero Astorre, prese il cuore della vittima addentandolo come una bestia.

Nella strage persero la vita anche il vecchio Guido e Gismondo Baglioni, ma non tutto andò secondo le bieche previsioni dei congiurati,  alcuni dei membri riuscirono a salvarsi; tra questi vi fu Giovan Paolo. Quest’ultimo, che doveva essere messo a morte da Grifonetto, riuscì a fuggire scappando da una finestrella posta sul tetto del palazzo; il favore dell’oscurità coprì la sua corsa verso la salvezza che avvenne oltrepassando Porta Eburnea.

Il piano sembrava aver dato i suoi frutti, i congiurati si accingevano a formare il nuovo governo occupando la cattedrale di San Lorenzo  e il cassero di Porta Sant’Angelo. Furono immediatamente pubblicati bandi e deliberati nuovi provvedimenti, venne convocata un’adunanza aperta ai cittadini che però, tra il trambusto generale e il rispetto verso la nobile casata dei Baglioni, rimasero freddi verso le iniziative dei nuovi insediati. Sembra anzi che proprio i perugini provassero cordoglio e pietà verso i cadaveri di Simonetto e Astorre, ancora riversi in strada la mattina successiva i tragici fatti.

Con molta probabilità tra i testimoni dell’accaduto ve ne fu uno d’eccezione; non è da escludere infatti che Raffaello Sanzio, allora allievo del Perugino che proprio in quegli anni lavorò intensamente nel capoluogo umbro, non avesse visto con i propri occhi la strage che sconvolse la città. Non a caso al pittore urbinate verrà commissionata, pochi anni dopo, una Deposizione per volontà di Atalanta Baglioni, una delle protagoniste di questa vicenda, proprio in onore della morte del figlio Grifonetto.

Ma torniamo alle vicende di questa sanguinosa storia; quando Atalanta e Zenobia seppero dell’eccidio e del ruolo che Grifonetto aveva svolto all’interno di tutta la faccenda decisero, seppur piene di dolore, di abbandonare la sua casa e di non farci più ritorno, come segno di sdegno ed incredulità. A nulla valsero i tentativi che il giovane Grifonetto fece per parlare con le due donne e riceverne il perdono, nonostante i forti rimorsi di coscienza del giovane l’onta delle sue azioni era  ormai indelebile.

Nel mentre, dopo la fuga, Giovan Paolo non perse tempo, radunò immediatamente dei seguaci, anche grazie all’aiuto di Vitellozzo Vitelli, signore di Città di Castello, preparandosi ad un veloce contrattacco. Nel giro di pochi giorni era pronto a riprendersi Perugia.  

Arrivato alle soglie della città, superò senza combattere la prima cerchia di mura attraverso Porta San Costanzo, quindi oltrepassò il borgo di San Pietro e la rispettiva porta; al suo avanzamento trovava l’acclamazione dei cittadini, contenti del ritorno del temerario Baglioni.

Giunto al quadrivio di Santa Croce gli si parò davanti un gruppo di nemici a cavallo, uno di questi montava la cavalla appartenuta ad Astorre. La rabbia  di Giovan Paolo fu tale che con un solo fendente di spada quasi tagliò di netto la testa del cavaliere uccidendolo in una singolar tenzone. Il desiderio di vendetta si accese e iniziò lo scontro tra le parti avverse che vide in netto vantaggio le truppe di Giovan Paolo. Arrivati ormai a Porta Sant’Ecolano le truppe dei Baglioni si trovarono d’innanzi Grifonetto, il cugino traditore. Giovan Paolo gli puntò la spada alla gola, ma disse che al contrario di quello che aveva fatto lui, non si sarebbe sporcato le mani macchiandole con il sangue della sua stessa famiglia. Potrebbe sembrare un gesto di estrema pietà, ma significava semplicemente che non sarebbe stato lui ad ucciderlo di suo pugno, avrebbe invece lasciato l’incombenza ad i suoi uomini i quali, riempiendolo di fendenti, lo ingiuriavano dandogli del vile traditore. La battaglia volgeva al termine, Perugia sarebbe stata riconquistata in poco tempo.

Sembra che proprio in quel momento giungessero sul posto Atalanta e Zenobia che, piene di dolore riuscirono almeno ad abbracciare il moribondo Grifonetto prima che spirasse, in un ultimo appassionato gesto di perdono e di struggimento. La scena mise nel cuore delle truppe una tale pietà da far zittire i soldati al seguito di Giovan Paolo che, lasciato il cugino morente alle cure della madre e della sposa, si diresse verso Piazza del Duomo per riconquistare il governo della città.