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Spesso ci ritroviamo davanti ad un palazzo storico senza dargli la giusta attenzione, oppure andiamo a visitare una mostra ma non ci soffermiamo sulla storia di quella dimora che l’ospita. È il caso di Palazzo della Penna di Perugia conosciuto per essere il Museo civico, diventato nel corso degli anni un luogo di cultura, pronto ad ospitare raccolte di arte contemporanea e spazi espositivi.

 

Residenza cinquecentesca della famiglia gentilizia perugina degli Arcipreti della Penna, Palazzo della Penna fu anche la casa dove Ascanio della Penna nel XVII secolo e agli inizi del XIX il suo bis-bis nipote Fabrizio collocarono le loro importanti collezioni d’arte, purtroppo smembrate nel 1875.

L’edificio è costruito sui resti di un anfiteatro romano (anche se c’è chi parla di un teatro) rimessi in luce nel corso dei lavori di ristrutturazione e di trasformazione che interessarono la dimora a partire dal 1980: c’è una parte di una struttura muraria in opera cementizia, consistente nella fronte esterna di una galleria periferica, la cui parte visibile è lunga circa 35 metri. Nel lato meridionale, il palazzo ingloba anche un tracciato viario e tratti di mura della cinta urbana d’epoca medievale. Palazzo della Penna venne internamente affrescato, nei primi dell’Ottocento, dall’umbro Antonio Castelletti con temi ispirati al mito di Paride e dello stesso periodo sono le vedute ideali che si trovano all’interno della Stanza dei Paesaggi, opera del decoratore e scenografo Pasquale Angelini.

Il mito di Paride

Quello che sorprende ad un occhio attento è proprio il ciclo di affreschi ispirati al mito di Paride che decorano il piano nobile, ovvero il piano terra. “Sono visibili all’interno delle sale della caffetteria in un percorso continuo – spiega Michela Morelli, referente in loco per il concessionario dei servizi museali comunali Munus Arts & culture – fino all’area museale, dove di solito vengono ospitate delle contemporanee”.

Di questi dipinti si parla anche nel libro “Il Palazzo della Penna di Perugia” a cura di Enrico Guidoni e Francesco Federico Mancini. Nella prima stanza è rappresentato il Giudizio di Paride (1812). L’episodio si svolge alla presenza di Mercurio e delle tre dee Giunone, Minerva e Venere, quest’ultima accompagnata da Cupido. Il secondo, invece, è Paride armato a cavallo, il terzo è Il Ratto di Elena ambientato nel porto di Sparta. Il quarto, più complesso, raffigura l’Apoteosi di Paride accolto nell’Olimpo da Apollo, allegoria della bellezza maschile. Quattro sono le figure rappresentanti le Stagioni: la Primavera con un fanciulla con dei fiori, l’Estate con una donna con grano, l’Autunno con un giovane con l’uva e l’Inverno con un vecchio vicino ad un braciere. Sullo sfondo si nota Saturno riconoscibile per l’attributo del serpente che si morde la coda, in basso le Tre Parche, accompagnate dalla Morte, anche queste sono figure da intendere come allegorie del tempo. Gli affreschi sono incorniciati da motivi decorativi di ‘cassetta’ nel repertorio neoclassico, come il velario che inquadra il primo e il secondo episodio e che si rifà ai noti modelli di Percier e Fontaine. Nel fregio della stanza (la parte intermedia tra l’architrave e la cornice nella trabeazione degli ordini architettonici classici) sono sistemate entro tondi 12 figure che potrebbero leggersi come le Nove Muse accompagnate da Giove, Mnemoine e Apollo.

Nella stanza con il Ratto di Elena compaiono figure danzanti vicino a bracieri accesi, mentre in quella con l’Apoteosi di Paride corrono, lungo le pareti, scene militari, corse su bighe e suovetaurilia (era un rito di purificazione a carattere anche apotropaico praticato nell’antica Roma, ma di origine indoeuropea, con esso si intendeva invocare la protezione delle divinità).

Anfiteatro o Teatro

E proprio sui resti antichi esistenti sotto il palazzo (o le case), già di proprietà dei Vibi poi dei Della Penna, ci sono versioni scordanti da parte della traduzione erudita perugina: c’è chi parla di resti di un teatro e chi di un anfiteatro. I lavori di ristrutturazione e di trasformazione di Palazzo della Penna, iniziati appunto nel corso del 1980, hanno richiamato l’attenzione sui resti murari romani inglobati nelle sostruzioni dell’edificio e hanno consentito l’esame diretto dei resti conservati, il rilievo delle strutture antiche e un approfondimento di studio. I resti sono costituiti da frammenti di una struttura muraria situata allo spiccato delle pareti del palazzo attuale, disposta lungo un corridoio anulare che percorre l’immobile in tutta la sua lunghezza. L’andamento del muro antico è sensibilmente inflesso e accompagna con esattezza la curvatura del corridoio di cui costituisce per un lungo tratto la parete interna. Si tratta, appunto, della struttura in opera cementizia, che presumibilmente costituisce il resto del nucleo centrale di un muro dotato di differente finitura esterna. Il muro presenta aperture antiche corrispondenti a quelle attuali di Palazzo della Penna. 

 

Progetto didattica in arrivo

Proprio dell’importanza delle rimanenze dell’anfiteatro romano, tra le poche testimonianze di quell’epoca rimaste a Perugia, ne parla anche Michela Morelli: “Sulla spina di questi resti si è sviluppato tutto il palazzo e sono fruibili all’interno del percorso museale, al piano meno 1, che è tra l’altro quello che ospita la Collezione Dottori che affaccia proprio sulla strada medioevale voltata, detta ‘Strada romana’, che costeggia appunto i resti dell’anfiteatro. E proprio questi ruderi prossimamente saranno oggetto di un progetto di didattica, con tanto di implementazione della pannelistica, proprio a dimostrazione della loro importanza. Perugia conserva pochi resti archeologici romani, rispetto invece a tutta quella che è la tradizione etrusca.

Infatti insieme al mosaico romano di Santa Elisabetta, risalente agli inizi del II secolo d.C., probabilmente appartenente ad un complesso termale della Perugia romana, e scoperto nel 1875 nel luogo dove sorgeva la chiesa medievale di Santa Elisabetta, ordinato a tessere bianche e nere, rappresenta il mito di ‘Orfeo e le fiere’ (il mitico cantore greco suona la cetra circondato da quaranta animali disposti su file parallele, che avanzano attratti dalla sua musica), attualmente si trova all’ingresso della facoltà di Scienze matematiche, fisiche e naturale, e i resti di una fullonica, un laboratorio di lavaggio, tintura e follatura dei tessuti, del complesso templare di San Bevignate, rappresentano gli unici resti della cultura romana”. 

 

Il corpo espositivo del museo riguarda: la collezione ‘Gerardo Dottori’ (1888-1977) ricca serie di capolavori del maestro futurista umbro e la collezione ‘Joseph Beuys a Perugia’ (1921-1986), sequenza di 6 grandi lavagne eseguite a Perugia (Rocca Paolina) il 3 aprile 1980 durante un incontro pubblico con Alberto Burri.