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Circa un mese fa si sono ricordati i settecento anni dalla morte del Sommo Poeta e il caso ha voluto che durante lo studio della rocca qui trattata venisse alla luce il rapporto di Accarino, proprietario della rocca, con la Divina Commedia.


Viene chiaramente citato nei vv. 132-134 del XII del Canto del Paradiso e viene inserito tra gli “spiriti sapienti” della Seconda Corona del cielo del Sole, ma non solo; questo personaggio, purtroppo poco approfondito, divenne il più fedele compagno di San Francesco d’Assisi, sotto il nome di Frate Illuminato d’Arce.
Frate Illuminato, spesso confuso con Frate Illuminato da Rieti, viene menzionato non solo nella Divina Commedia, ma anche in una lettera del 1246, conosciuta come Lettera di Greccio, in cui viene specificata la sua origine ed il suo nome per esteso, ovvero Frate Illuminato dell’Arce.
Anche Bonaventura, filosofo e teologo amico di San Tommaso d’Aquino, ne parla come il compagno fedele di San Francesco, che addirittura lo accompagnò nella peregrinazione apostolica ad Acri.

Una volta presi i voti, lasciò tutti i suoi feudi al figlio Enrico ed al fratello Ottonello, e da questo momento in poi la rocca di Accarino non ebbe vita facile; alla morte di Enrico, i possedimenti erano ritornati ad Illuminato, che essendo ormai un francescano non poteva più permetterseli.
A questo si ovviò grazie a Frate Elia che concesse a frate Illuminato di organizzare i beni lasciati dal figlio e concederli al Comune di Spoleto, per poi passare sotto i Trinci di Foligno.
Questi ultimi nel 1435 vendettero la Rocca a Collestatte, ma con l’obbligo di non apportare nessun intervento costruttivo, probabilmente per questioni strategiche.

Cosa è possibile vedere dell’antico insediamento

La rocca è immersa in una fitta boscaglia, a pochi km dal piccolo centro di Collestatte (TR), in cui si ravvisa l’accenno di quella che fu un’antica realtà, ormai ridotta a poche porzioni di murature.
Innanzitutto, già in epoca longobarda Colle Stacti si presentava come una curtis, una sorta di centro agricolo, con la presenza di piccole comunità radunate intorno alla Pieve, poiché essendosi formate prima dei comuni non possedevano ancora un palazzetto comunale; il termine Pieve infatti deriva da plebs, ovvero popolo.
L’area che occupava questo antico castello era notevole, essendo posto alla sinistra del fiume Nera, dominava dal Lago di Piediluco a Casteldilago fino alla Cascata delle Marmore.
Difficile avere un quadro completo dell’insediamento, poiché le poche strutture mantenutesi in piedi sono pericolanti e veramente esigue, ma nonostante ciò di notevole impatto; si pensi alla fatica ed alla complessità del lavoro per realizzare non solo un’opera così imponente ma soprattutto realizzarla in un luogo così impervio!

Il percorso è piuttosto intricato ma breve, e data la fitta vegetazione è quasi impossibile vedere da subito quello che rimane della rocca, oltretutto è facilmente confondibile con il paesaggio.
In piedi è rimasta una parte della cinta muraria, parte della torre, porzioni del piano di calpestio, due contrafforti e due cisterne alla base delle mura, segno che questa struttura avesse un importante ruolo difensivo; da alcune fonti si ricava che erano presenti ben quattro chiese: due interne alle mura e due esterne.
Fonti a parte però, la situazione purtroppo non permette di fare grandi ipotesi per ora.
Certo è che questo luogo ha molto di inesplorato e meriterebbe una sistemazione per permettere la sua fruizione, magari aggiungendolo ai tanti percorsi escursionistici della Valnerina.
Prossimamente sarà doveroso approfondire le ricerche in quest’area, poiché non è esclusa la presenza di altre strutture legate alla rocca!