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Ci sono luoghi nel mondo che attirano la nostra attenzione per le loro dimensioni notevoli, per la loro bellezza opulenta o per la sconcertante ricchezza delle decorazioni e dei dettagli artistici che ne completano l’esuberanza.

A volte capita però di trovarsi per caso davanti a piccoli discreti gioielli che attirano chi li osserva per motivi più profondi dell’estetica.

Sarebbe inspiegabile capire sennò come una porta impolverata e anche un po’ logora abbia attirato un giorno irrimediabilmente l’attenzione di uno stimato imprenditore assisano. Questo avvenimento, questa specie di epifania fortuita, capitò al signor Carlo Angeletti in una di quelle giornate usuali, durante le quali era tutto preso nella gestione del suo ristorante di fronte alla Basilica di San Francesco.

Il ristorante di famiglia era parte integrante della sua incessante attività quotidiana: rendere la città un luogo vivo e giocoso, dove non rimpiangere neanche un secondo di non essersi trasferiti nel capoluogo o anche più in là.  In alcuni giorni questa missione lo trasportava con forza, come una corrente, alla ricerca di un luogo dove organizzare spettacoli ed esibizioni.

Quel giorno qualunque lui lo aveva trovato quel posto: era certo di aver scoperto la sede di un futuro teatro!

Poco importava se era piena di cianfrusaglie e sembrava più una rimessa agli occhi di un profano.

Sua moglie, Antonietta Mancinelli, invece, era rimasta un pizzico perplessa la sera di quel giorno qualsiasi, a cena, fra il piatto e la saliera, quando Carlo le aveva confessato di aver trovato certamente il teatro perfetto per le loro rappresentazioni, in Via Metastasio 18.

Non era solo della dimensione perfetta, con le caratteristiche giuste, era pure accanto al teatro stabile di Assisi. Perfetto, no? Come se la semplice vicinanza col teatro più grande della città giustificasse la spiegazione e l’entusiasmo per la memorabile scoperta…

Gli spettacoli al ristorante mica si potevano fare più, spiegava eloquente l’imprenditore. Da anni li incastravano fra i tavoli e la cucina, e la cosa, per quanto bella, era diventata un po’ limitante. No?

Ci voleva quello spazio nuovo per i loro eventi e le loro attività: mica si potevano fare solo cose all’aperto come “Ecco la Primavera” o “ la Maggiolata”. Per rendere la città ancora di più un posto abitato, dopo la batosta del terremoto, era necessario un luogo al chiuso.

Ne avevano già parlato prima. Carlo rimarcava solo i concetti, riassumeva, agitando un bicchiere d’acqua, poi la tazzina di caffè, poi il tovagliolo.

Era un uomo di per sé convincente. L’amore poi, in ogni caso, aiuta nel porre le giuste basi per realizzare un sogno: soprattutto se quel sogno mira a coinvolgere la famiglia. No, no, anzi, molto di più; l’intera comunità degli assisani se possibile. Fu così che Antonietta capitolò alle idee dell’agile marito, senza neanche porre, bisogna dirlo, troppa resistenza.

Spiegata in quel modo la proposta non sembrava poi neanche così strampalata. Di svaghi ad Assisi non ce ne erano molti. Non c’era granché da fare per lei e per tutti, a parte il ristorante: soprattutto d’inverno. La rimessa in auge di quell’adorabile magazzino, che poi era una chiesa sconsacrata, sarebbe stata un piacevole passatempo. E lo sarebbe stata anche l’organizzazione di qualche nuovo incredibile spettacolo. In poche ore aveva cominciato a sognare anche lei.

dilettando insegna
teatro degli instabili - ingresso

Questo entusiasmo si diffuse allo stesso modo in pochi giorni a tutta la famiglia, poi ad amici e collaboratori, tramutandosi subito in azioni, sudore e fatiche. Prima di tutte la fatica di svuotare la struttura per riarredarla.

Tristi scatole uscivano dal portone di Via Metastasio 18, per essere portate al robivecchi o più semplicemente per liberarsi finalmente del loro inutile ed obsoleto contenuto.

Altre scatole felici entravano dallo stesso portone, trasportate da Fulvia, la figlia ventenne di Carlo e Antonietta, naturalmente dai due ideatori dell’iniziativa, e da amici e collaboratori trascinati dalla novità in arrivo. Tutto succedeva nella più totale spontaneità d’animo.

Non importava cosa ne sarebbe venuto fuori da quel lavoro così faticoso, da quel palco ancora polveroso sovrastato dalla profetica scritta “ dilettando insegna”; bastava stare insieme, fare qualcosa di effettivamente utile e interessante per la città di Assisi. Spettacoli regolari, spettacoli di prosa, di musica o anche assieme, perché no?

Correndo da una parte all’altra del piccolo teatro, Carlo Angeletti pensava a mille cose. Pensava in primis a quale nome dare a quella piccola struttura così piena di potenziale. Camminando in sù e in giù, vorticosamente, fra il ristorante e via Metastasio, Carlo spremeva le meningi soprattutto per questo motivo.

Le spremette così tanto da tirar fuori un’idea veramente succosa, non solo accattivante ma ricca di significati, a dire il vero, pure un po’ provocatori. Il teatro della sua famiglia, della comunità, nasceva dal desiderio di essere diverso da ogni altro in zona. Diverso certamente da ogni teatro “stabile”, come si suol definire ancora oggi ogni struttura pubblica, purtroppo, a volte, non molto attiva e pubblica tanto quanto dovrebbe.

Per essere diversi bisognava dar l’idea di contrapposizione. Come? Mostrandosi opposti, contrari alla stabilità per definizione; soprattutto una stabilità persa ad Assisi fra le scosse del terremoto e mai più veramente recuperata.

Quello di Carlo ed Antonietta, e di tutti gli assisani, sarebbe stato un teatro degli “instabili”. In senso buono. Instabili per dire eccentrici, eclettici. Un teatro di chi prova ad ogni costo a sperimentare tutto ciò che è possibile nel mondo dello spettacolo, fra le tende rosse di un piccolo sipario di velluto.

Per trovare le sedie per la platea, gli specchi, i candelabri, Antonietta e Carlo girarono tutto il centro Italia: nulla fu lasciato al caso.

Nel teatro sarebbero entrati solo gli oggetti, anche oggetti d’epoca, che a gusto loro avrebbero potuto coinvolgere e stupire di più il futuro pubblico di ogni rappresentazione, seduto e rilassato come nelle braccia di una mamma, nella loro creatura fatta di pareti e mobili in rosso e oro. Il teatro dopotutto è un ambiente a sé: quasi un ecosistema unico con le sue regole ed i suoi meccanismi di funzionamento. E come tutti gli ecosistemi ha delle caratteristiche specifiche, mobili tipici e luci soffuse, che non possono e non devono mandare. Ne verrebbe meno l’atmosfera.

Nel Piccolo Teatro degli Instabili l’atmosfera fu creata così bene che nel giro di pochi mesi, il progetto passò dall’essere una creatura di famiglia ad essere un luogo ricercato da attori famosi e molto noti. Tutto tramite il puro e tradizionale passaparola! La cosa sorprende anche di più; perché già non si era nel periodo del boom economico, ma negli anni 2000, all’inizio della lotta un po’ sconsiderata per la visibilità.

teatro degli instabili vuoto
piccolo teatro degli instabili - pieno

Ciò dimostra che la bravura, l’attivismo, l’ingegno, possono ancora vincere da sole, generare valore ed essere visibili e apprezzati.

Ci sarà dopotutto un motivo per cui un piccolo teatro, decisamente più raccolto rispetto ad un grande edificio noto ai più, abbia richiamato l’attenzione  e il desiderio di esibirsi di grandi attori della storia della recitazione italiana: Giorgio Albertazzi, Renato Sellani, Arnoldo Foà, Valerio Mastrandrea e molte e molti altri.

Sono passati anni da quel lontano 2002. E la storia, questa storia, si arricchisce, non finisce. La presenza di Carlo resta; resta un’eredità di famiglia che ormai dura e viene accolta come una missione da Fulvia, che ora non ha più vent’anni, ma ha molta più passione. Cresce in lei. Forse ha raccolto e moltiplicato quella delle migliaia di persone che dal primo spettacolo “instabile” fino ad oggi si sono sedute sulle poltrone del teatro e sono salite sul suo palco, per mettersi, volenti o nolenti, completamente a nudo.

Curioso che il teatro che dovrebbe essere finzione, sappia far scaturire invece la piena autenticità umana. Sicuramente quella di Carlo e Antonietta prima, quella di Fulvia e dei differenti ospiti, allievi e collaboratori poi. Magari anche la mia, nonostante stia solo narrando questa breve storia, così come me l’hanno riferita: in modo semplice, breve, un po’ abbozzato. Come si fa, alla fine, con i ricordi.

Confesso che forse qualche dettaglio di questa storia l’ho anche immaginato. Poco male se un pizzico di finzione ha trasmesso la parte più profonda, le emozioni, l’ambientazione semplice e quotidiana, di quelli che furono poi effettivamente i fatti. Sono certa che perciò le piccole simulazioni mi verranno perdonate.

C’è anche da dire, dopotutto, che se le scoverete avrete avuto un grande onore: quello di conoscere davvero il cuore pulsante del Piccolo Teatro degli Instabili, e soprattutto la sua gente.

fulvia angeletti - carlo angeletti - antonietta mancinelli
Piccolo teatro degli Instabili - pubblico

Ringraziamo il Piccolo Teatro degli Instabili e Fulvia Angeletti per la gentile concessione delle fotografie.