Skip to main content

Il Venerdì Santo del 1448 cadeva in una fredda giornata di marzo. Perugia era allagata da un cielo ingrigito, mentre l’aria gelida, altro che brividi, intirizziva persino la rosea pietra della città: da ciottoli, mattoni e massi ripercuotevano i continui colpi di ferraglia che pian piano entravano in Piazza Grande: tac-tac… tac-tac… tac-tac; rumori acutissimi, maledetti, prodotti da uomini che vestivano un sacco bianco e un cappuccio appuntito che ne copriva il volto; con un po’ di soggezione, solo grazie a dei piccoli fori, si potevano intravedere i loro occhi, ma avvolti nella loro penombra non offrivano altro che maggior timore: parevano uomini di un altro mondo che suonavano strani arnesi.

Tra quel continuo e assordante tac-tac, fra Roberto, in piedi sul pulpito della cattedrale, intonò un Miserere mei e fece segno di guardare verso il portone: comparvero un uomo unto dal sudore, lacerato da ferite sanguinanti, e dei soldati pronti a percuoterlo ogni volta che provasse ad alzare il capo. Percorrevano l’intera piazza e tutta la città assisteva a quella scena granguignolesca: mendicanti, contadini, mercanti, servi e signori; nessuno di loro capì che quell’uomo fosse un attore, Eliseo, il barbiere di Porta Sant’Angelo: credevano che fosse davvero il povero Cristo.

«Misericordiam tuam», cantavano gli incappucciati in coro alternato, «abbi pietà! oh Dio… ti supplichiamo, abbi pietà di noi!», urlava il popolo premendo i pugni sul petto.

cappella dei priori

E mentre percuotevano quel povero Cristo, un uomo gobbuto, celato dagli astanti, gli gettava sopra una vernice rossa; chi l’avrebbe mai pensato: quell’ufficio gli calzava a pennello: i più fanatici lo ignoravano, sventura incontrarlo, altri, non meno sciocchi, mai e poi mai avrebbero immaginato che uno storpio potesse avere tanta agilità. Ad ogni gettata di vernice corrispondeva una reazione del popolo e tra quel frenetico tac-tac, avvolto tra urla, canti antichi, suppliche più disparate e donne e uomini che si percuotevano, Benedetto Bonfigli, pittore raffinato come raffinato era il suo occhio, guardava con interesse una giovane donna, figlia dell’ambasciatore Barzi: i suoi capelli biondi, dalle trecce lunghissime che cingevano il capo, riflettevano di color miele; la pelle bianca del volto e dello scollo sulle spalle, l’unica a vedersi dalla lunga tunica che portava, aveva preso un colorito ambrato, dovuto dal sole primaverile; e poi, i suoi occhi, neri, che brillavano come un lago illuminato nelle prime ore del pomeriggio.

Anche Benedetto ripudiava tanta violenza e ne era fortemente provato, da giovane ne subì parecchia, e pareva fosse entrato in sintonia con quella donna. Entrambi percepivano qualcosa che andava oltre l’eccitazione popolare: sentivano sulla propria pelle ogni frustata tirata a quell’uomo. Poi, passato qualche istante, Benedetto voltò lo sguardo, quasi per prudenza, e si accorse che l’ambasciatore guardava con disprezzo la reazione della figlia.

Qualche giorno dopo tutta la città seppe che la giovane volle chiudersi in un monastero, opponendosi al suggerimento del padre: sposare un vecchio e nobile perugino. Pensate a quanto fu l’amaro che dovette inghiottire l’ambasciatore, considerato che ragionava da tempo su come aumentare il valore della propria famiglia.

Passato qualche anno da quel particolare dramma che si tenne in piena città, era il 2 dicembre del 1454, a Benedetto venne affidata la decorazione della Cappella dei Priori: metà della stanza sarebbe stata affrescata con le storie di San Ludovico, appresso, conseguita una meticolosa valutazione, si sarebbe deciso se far continuare o no il pittore. Eh già! I priori erano piuttosto prudenti; e ne cacciarono di artisti ancor prima che terminassero le loro opere!

Benedetto ricordava la patetica rappresentazione tenuta in Piazza Grande, più di tutto la reazione dell’ambasciatore alla commozione della figlia; così, con dei gesti svelti, si apprestava a disegnare la prima scena che avrebbe dipinto, la celebre rinuncia di San Ludovico al trono del padre, il re di Napoli, e mentre tracciava i primi segni di un volto, intuiva che il caso della giovane donna sarebbe calzato a pennello. Insomma, tutta la delusione e il disprezzo dell’ambasciatore assumevano le fattezze del volto di re Carlo, rabbioso per la decisione del figlio e travolto da un pensiero che lo esasperò per tutta la vita: «come può, un uomo, abdicare a cotanto lusso!».

Raffigurava tutta l’indignazione di quell’uomo in una sola smorfia: i muscoli alla sinistra del naso si contraevano nervosi a intervalli, quasi si trattasse di un tic, alzando una parte del labro superiore così da recargli un aspetto forastico. Concluso il volto del re si apprestò subito a disegnare un visionario San Ludovico, con le mani alzate al cielo e il ministro generale che gli legava il cordone al saio; poi Papa Bonifacio VIII, impegnato a benedirlo; ma come se non bastasse, Benedetto decise di mettere tutti questi personaggi alle spalle di re Carlo: be’, pare che il re non abbia alcuna voglia di guardare… o che se ne stia proprio andando.

Qualche giorno dopo Benedetto iniziò a dipingere quei personaggi, racchiudendoli in un particolare edificio, dove passato e presente dialogavano in perfetta armonia: le colonne del secolo precedente, dall’immagine medievale, guidavano lo sguardo a dei moderni portoni, decorati da uno stile dal sapore antico, quello che chiameranno rinascimentale. E mentre dipingeva, impetuoso, non immaginava che avrebbe iniziato l’impresa della sua vita, immortalando con sconcertante realismo anche le viscere più schifose della città…. (continua).