Francesco Severini dipinge, disegna e scrive da sempre, ad Acquasparta. Dopo diverse mostre effettuate in Italia e all’estero, dalla prima personale a Milano fino a quella di Parigi, oltre alle committenze di arte sacra, alcune delle quali sono oggi nelle chiese principali di Acquasparta.
Da ormai più di dieci anni ha affrontato ogni progetto mediante il connubio fra la letteratura e la pittura, nell’intento di porgere ad ogni possibile fruitore una induzione preminente: la meraviglia.
Alcuni dei progetti: Geografie dei mondi possibili (1995), Le forme del tempo (1995), Gli occhi della pittura (1999), Le armonie dell’anima (2000), Sguardi di Vini (2002), Histoire des visages (2004), Dittamondo (2006), Le Fate italiane (2011) vincitore dell’VIII Concorso nazionale “Le collane di Med”. Nel 2013 sulla scorta di un lavoro pittorico sui Tarocchi e l’Alchimia, realizza una wunderkammer – una pittura parietale di circa 40 mq realizzata nella propria abitazione e concepita secondo i dettami di una camera picta rinascimentale – cui dà il titolo di Tetramorphosys.
Uno degli ultimi lavori, Vagabolario – Viaggio miniato tra le leggende dei piccoli popoli nelle isole linguistiche d’Italia, ovvero ventuno capolettera tanti quanti le lettere dell’alfabeto italiano, resi in forma di miniature pubblicato nel 2017 che ha già ricevuto due importanti riconoscimenti: il Premio di Letteratura nazionale indetto dall’Istituto di Cultura di Napoli ed il conferimento del prestigioso Premio Ostana per le letterature in lingua madre, nella sezione Premio Nazionale. Nuovi lavori in fieri, una pièce teatrale dal titolo Carne d’anima e il progetto “La visibile Congiuntura”. In attesa di pubblicazione un nuovo libro Il cielo relativo.

Assume quasi il tono di una sfida fare un’intervista ad un artista come Francesco, la cui attività artistica è nata più di vent’anni fa, sia per la vastità dei suoi interessi, sia per la straordinaria varietà di risultati da lui raggiunti in questi fecondi anni. In un freddo pomeriggio di marzo, mi accoglie insieme a un tè caldo, con la gentilezza e la disponibilità che lo caratterizza, nella sua casetta nel centro storico di Acquasparta, ricca di alcune sue colorate opere appese alle pareti.
V. Se dovessi descrivere te stesso, cosa diresti?
F. Mi descriverei come un invasato, nel senso più positivo del termine, soprattutto dal punto di vista artistico. Ovvero io vivo in una sorta di panismo artistico, dove mi sento immerso sia nel mondo reale che in quello dell’arte. La mia è un’esperienza onnicomprensiva, nel senso che per me l’arte è la vita e anche quello che c’ è oltre la vita se è possibile. È qualcosa che va al di fuori dal reale, che può essere quasi paragonata a un sogno. L’arte per me è qualcosa che si insinua nella vita di tutti i giorni. Nasce come un’esigenza personale di qualcosa che io voglio e che desidero fortemente. Attraverso le mie opere voglio esprimere le minime induzioni da tanti anni supportano questo percorso.
V. Hai un padre spirituale? Qualcuno a cui ti ispiri durante la creazione della tua arte?
F. Ho fatto sempre tutto da solo, non ho mai seguito nessuna scuola artistica. Più che un padre spirituale, mi ispira una sorta di angelo custode con il quale ho un rapporto di tipo mistico. In particolare credo molto nel fatto che ci siano delle presenze che ci accompagnano nel corso dell’intera vita. Quando si fornisce la voce a queste presenze, a queste entità, allora viene fuori il prodotto artistico. Sono autodidatta, non c’è nessun artista che prediligo. Sono dell’idea che si possa trarre insegnamento da tutto e da tutti. Io trovo che il concetto di bellezza sia intriso in ogni luogo e in ogni persona. Ho sempre creduto che ci siano stati nel corso della storia così tanti personaggi importanti che sarebbe ingiusto trascurarne alcuni e preferirne altri. Per me il fondamento essenziale dell’arte è la conoscenza, come diceva Federico Cesi nel suo scritto Del natural desiderio di sapere del 1616, assunto che ho fatto mio, pensando che ci possa e ci debba essere sempre una curiosità di fondo che ci spinge ad una continua ricerca. Io studio molto, lo faccio da sempre e di continuo. Come puoi ben vedere, casa mia è sommersa di libri.

V. Quando hai iniziato a percepire te stesso come artista?
F. Ma in realtà non credo di averlo percepito a un certo punto della vita. Probabilmente è stato sempre cosi fin da quando ero bambino. Guardando i quaderni di molti anni fa che mia madre ha conservato con cura, mi hanno fatto capire che ci sono nato con questo tipo di abilità. Sono stato sempre attratto dal disegno senza alcuno sforzo. Questa è stata la mia possibilità di esprimermi, come se fosse un biglietto da visita. In un certo senso nasco con la matita tra le mani. È qualcosa che secondo me è innato. C’è chi ha questa facoltà e chi ne ha delle altre. Così come per gli strumenti musicali: io ho sempre suonato qualsiasi strumento ma non ho mai studiato musica. Così è il disegno.
V. Quali sono gli ambiti che prediligi? So che ti occupi di molte cose, sei una persona che si potrebbe definire poliedrica.
F. Più che artista poliedrico, mi definisco artista policromo. Ecco questo sì. Nelle mie opere i colori fanno da padroni, anche se amo anche il disegno. Anche perché io nasco come un disegnatore, amo il tratto. Il disegno è la cosa fondante, poi arriva la pittura. Infine la letteratura e la scrittura. Però prevalentemente nasco come disegnatore, non ho mai smesso e lo faccio sempre come esercizio quotidiano. Durante il periodo in cui ho fatto il militare mi sono mantenuto perché ho iniziato a fare disegni con una penna sui fazzoletti di carta e in questo modo ho preso a venderli. C’è da dire che anche la scrittura è un esercizio che mi piace definire culturale. Ha la stessa armonia che ha la fluidità del pennello, poiché quando scrivi e ti immergi nella scrittura è qualcosa di armonico. Cerco sempre la morbidezza e l’armonia dei toni che riflette esattamente il mio animo e la mia identità.
V. Quali sono le sensazioni che provi mentre crei?
F. Mentre creo provo una sensazione di pace, leggerezza ma soprattutto spensieratezza. Il mio isolamento mi porta a esprimere qualcosa di favolistico. Ed è per questo motivo che leggo e scrivo fiabe perché a mio parere la favola si presta a mille cambiamenti ed è sempre diversa, mai scontata. La paragono alla mia pittura che si deve prestare a qualcosa del genere, come un istinto fiabesco che mi accompagna sempre. Cerco di creare storie che parlino di evasione. Il mio intento non è stato mai fare arte di denuncia ma è solo un pretesto per arrivare a esprimere un sogno. Come altri possibili mondi, dove non esista giudizio di alcun tipo.

V. Parlami del tuo principale capolavoro, la stanza delle meraviglie che hai in casa.
F. La stanza rappresenta una trasformazione come spesso accade nella vita, la posso definire la summa del mio percorso artistico. Ci ho messo quasi 8 mesi per terminarla. Questo spazio di 40 mq racchiude quella che è l’esperienza alchemica, chiamata tetramorphosis. La parola l’ho coniata dal numero 4 e per morphosis intendo la trasformazione delle 4 fasi alchemiche in cui il numero 4 ricorre sempre, così come le stagioni. Per cui i punti di partenza sono stati i 4 elementi e le 4 fasi alchemiche. Credo che ognuno di noi ha un percorso ciclico che inizia e finisce per poi ricominciare. Un po’ come l’amore. Tutto è ciclico, tutto si ripercorre. Volevo sottolineare l’attinenza tra il percorso alchemico e il percorso della vita. Come ultima ratio c’è l’idea di un deux ex machina che manovra i fili della vita. Volevo apparire come colui che crea l’idea e che rendesse impressa nella parete. Io l’ho definita come uno spazio intimo ma non privato dove l’esoterismo è sinonimo di intimità. Non è privato perché si può usufruire. Sono partito da una concezione tutta mentale con pochissimi bozzetti. Tutto è stato fatto in itinere, ho lasciato libero sfogo al dinamismo e al divenire. La stanza riguarda una trasformazione, come la vita non sai a cosa vai incontro, quindi è stato tutto un divenire in corso d’opera.
V. Sei anche sceneggiatore. Parlami dell’opera teatrale di Tetramorphosys.
F. Diciamo che l’idea del teatro è nata dopo la creazione della stanza. Il punto di partenza era di mettere in discussione l’artista con i 4 elementi. Ogni elemento è parte della vita dell’artista. Rappresentarli sotto una forma umana è stata un a cosa molto forte ed impegnativa. Nella parte ultima della quintessenza c’era l’amore, come entità cosmica e che o scelto di essere raffigurata da una donna. Come se io stesso mi sdoppiassi nella figura femminile.
V. Parlami del progetto del Vagabolario.
F. Quella di Vagabolario è stata una ricerca e uno studio molto meticoloso, un progetto voluto fortemente sulle arti minori. Si tratta di un viaggio miniato, un viaggio per immagini vivo di racconti nel racconto, tra le leggende di quelle che sono state definite isole linguistiche esistenti in varie zone d’Italia, ciascuna virtualmente iscritta entro confini regionali. Ventuno popoli presi da me in esame, tanti quante sono le lettere dell’alfabeto italiano. Di qui l’idea di altrettanti capilettera da rendere quali miniature di un mio singolare vocabolario. Una sorta di breviario laico che dalla A alla Z scandisca il tempo della narrazione. Altro progetto impegnativo è stato quello delle Fate Italiane. L’ intento è stato quello di riscoprire il lavoro di 60 artiste bistrattate dal maschilismo imperante letterario. Quindi ho voluto rimettere in auge il lavoro di queste artiste dando il peso e la dignità letteraria che meritavano. Ho condotto questa ricerca dove si parlava di ambito minoritario, in cui le donne avevano pseudonimi per potersi far conoscere.
V. Qual è il tuo campo di ricerca?
F. Da sempre prediligo l’ambito e la cultura italiana, vedi i miei studi che ho condotto con Vagabolario e le Fate Italiane. Le 21 etnie che ho scelto di approfondire, tutte fanno parte di una realtà nazionale. Ho voluto riscoprire questi piccoli popoli che sono dei gioiellini assolutamente da far conoscere.
V. Che significa essere per te artisti oggi?
F. Questa è una domanda molto difficile. L’attenzione all’arte deve essere qualcosa finalizzato alla ricerca della bellezza, qualcosa di aiuto all’anima. Per me la cultura dovrebbe essere aperta a tutti come le terme per i romani, e soprattutto alla portata di tutti. Adesso invece percepisco che c’è una grande difficolta a fruire dalla cultura. Il problema fondamentale è che purtroppo viene bistrattata dalle istituzioni. Oggi non si riesce a dare voce a niente perché non c’è modo nemmeno il modo di dar voce, e non esiste molta gente in grado di saper osservare attentamente. Anche per quanto riguarda le mostre attuali: vengono fatte sempre e solo sui soliti artisti contemporanei che fanno guadagnare. Mi auspico in un futuro a un ritorno al primitivismo, a delle rappresentazioni più semplici, ma soprattutto a un’arte che riporti a una realtà concreta e che tutti ne possano fruire allo stesso modo. Sarebbe bello poter parlare di arte come di un prodotto che si possa definire genuino. Ci vorrebbero delle esposizioni di arte nelle case, come un percorso itinerante, esattamente come il percorso della vita.

V. Grazie per il tempo che mi hai dedicato, in bocca al lupo per i tuoi prossimi lavori.
F. Grazie a te per l’attenzione che mi hai dedicato.
Per informazioni dettagliate sui lavori dell’artista ed un eventuale contatto si rimanda alla pagina Facebook di Francesco Severini https://www.facebook.com/frasev e al canale YouTube https://www.youtube.com/watch?v=j2vrI_UwVp0&t=305s .