L’Italia , ormai si sa, è un museo diffuso. Non serve entrare in una struttura apposita piena di quadri o statue per capire e godere dell’arte e della storia; nel nostro Bel Paese, che dal punto di vista culturale bello lo è davvero, basta alzare gli occhi per scorgere un campanile del Duecento, voltarsi dall’altra parte per ammirare la facciata di un palazzo storico, abbassare lo sguardo per ritrovarsi con i piedi sopra un lastricato antico di secoli e secoli.
Basta avere un briciolo di curiosità e l’occhio vispo, che si apre di fronte a noi un mare di possibilità di conoscenza.
L’Umbria su questo non si fa mancare nulla, qualunque paese ha un vecchio castello o una piazza, resti di un insediamento stratificato nel tempo che convive con il presente e che, per fortuna, lo nobilita.
Così, nella riprova della tesi appena esposta, basterà prendere un paesino, nemmeno troppo conosciuto, uno tra i tanti del centro Italia, fare due passi lungo la via principale e aprire bene gli occhi.

Prendiamo Sant’Egidio, minuscolo insediamento di case posto tra Perugia e Assisi. Lungo la via principale, proprio sulla strada, notiamo un piccolo edificio a pianta rettangolare, non molto alto, da fuori lo potremmo definire modesto, una piccola chiesa come tante, ma basta riuscire ad entrare per accorgersi che di anonimo la minuta struttura ha ben poco.
In uno spazio lungo meno di dodici metri, largo poco più di sette e alto circa otto metri, sono presenti più di cinquanta dipinti votivi, quasi tutti aventi come soggetto principale la Madonna, praticamente una sacra carta da parati a tema mariano che tappezza tutte le pareti verticali! Quasi un record nel rapporto spazio-immagini all’interno di un edificio ecclesiastico.
La chiesetta, eretta tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, presenta un’aula unica dalle misure murarie leggermente asimmetriche, come era tipico delle costruzioni rurali dell’epoca. Altrettanto tipico è il motivo della sua genesi; essa nasce per proteggere ed esaltare un’edicola viaria ritenuta miracolosa, che fu quindi inglobata all’interno della struttura lungo la parete nord. La muratura esterna è composta di blocchi irregolari di pietra arenaria mentre la copertura del tetto a capanna è sostenuta da un sistema di capriate, travi e travetti.
Ma la vera particolarità dell’edificio risiede nel doppio ingresso presente nelle pareti est e ovest; i due portoni così studiati denotano la conformazione “processionale” del luogo di culto, ovvero i devoti potevano passare di fronte all’immagine sacra più e più volte, una pratica che accompagnata alla preghiera consentiva indulgenze e grazie. Non a caso il grande finestrone rettangolare è posto frontalmente alla sacra icona, così da consentirne, non solo un’illuminazione mirata, ma anche la visione dall’esterno dell’edificio.
All’interno si trova un altare posto sotto l’immagine miracolosa, chiuso da una struttura a baldacchino più recente, eseguita tra XVIII e XIX secolo e composta da un piccolo muro sormontato da un cancello in ferro battuto, a sua volta innestato su di una struttura superiore dotata di archi con decorazioni in gesso e legno, raffiguranti evangelisti, profeti e putti.
Al centro di tutto troviamo l’immagine tanto venerata, databile a partire dalla metà del XIV secolo, raffigurante la Madonna in trono con Bambino. L’opera si richiama ai modelli bizantini ancora ben presenti nell’arte rurale e di devozione popolare dell’Umbria, anche se a ben guardare, è già riconoscibile un atteggiamento affettuoso tra i due protagonisti che denota un passo avanti rispetto agli antichi e ieratici archetipi: il piccolo è in piedi sulle ginocchia materne, vestito con una tunichetta e stringe la mano della madre che a sua volta gli carezza il volto. Sullo sfondo di una cortina azzurra si affacciano due angeli che presentano l’immagine della Vergine come se fosse discesa dal cielo.
La decorazione delle restanti pareti si dipana su tre registri e va letta dal basso verso l’alto, anche se in questo caso, non c’è stato un progetto decorativo e narrativo specifico. L’affollamento iconografico sembra indicare che ai committenti non interessasse l’originalità della realizzazione artistica, quanto piuttosto il fissare su intonaco la forte e sentita venerazione per la Vergine Maria.

La presenza totalizzante della Madonna e quella di altri santi raffigurati nelle scene ci raccontano moltissimo della società rurale e contadina di allora, non a caso sono tutti personaggi i cui poteri taumaturgici spaziano dal controllo delle acqua all’abbondanza dei prodotti della terra, dalla buona riuscita del parto fino all’allattamento. Facciamo solo alcuni esempi tra i santi rappresentati: San Giacomo, che era patrono dei pellegrini forniva il buon auspicio per i viaggiatori che venivano a vedere il luogo di culto, San Cristoforo era invocato per la buona riuscita negli attraversamenti di corsi d’acqua impervi, Sant’Antonio Abate era protettore degli animali, quindi molto sentito e pregato in una società fatta di allevatori e contadini. Ovviamente c’è tutto il reparto femminile della devozione che vede soddisfatte le proprie preoccupazioni riguardo alla gravidanza e alla crescita del bambino nelle raffigurazioni mariane, in particolar modo nelle numerose “Madonne del latte”, in cui la Vergine è rappresentata durante l’allattamento del proprio figlio. Ma non mancano nemmeno immagini di Santa Caterina d’Alessandria, protettrice delle tessitrici, ruolo fondamentale nell’economia domestica dell’epoca.
Da un punto di vista cronologico le datazioni delle pitture si perdono nell’incertezza, le antiche scritte che davano nome del committente e data d’esecuzione sono ormai perdute, anche se le varie campagne decorative vanno probabilmente circoscritte tra la fine del Trecento sino allo scadere del secolo successivo. Non aiutano molto a questo scopo nemmeno le indagini sui differenti stili artistici a causa dell’uniformità stilistica delle pitture e alla tendenza all’arcaizzazione dei vari esecutori. Ma ciò non significa che non ci siano dei guizzi di originalità o interessanti caratterizzazioni dei personaggi, basta vedere come sono stati resi gli intimi gesti di affetto tra la Madonna e Gesù bambino, oppure gli interessanti particolari nella resa dei pesci nel fondale acquatico del San Cristoforo, che mostrano vivaci spunti coloristici ed espressivi.

Non vanno poi tralasciate le notizie storiche riguardanti l’edificio. La diatriba per il suo possesso ci mostra “in piccolo” le lunghe contese ed i sempre presenti giochi di potere tra le varie maestranze, anche ecclesiastiche, del territorio. La struttura fu infatti contesa tra il Comune di Perugia, che ne avrebbe affidato le cure al Convento francescano di Porta Santa Susanna ed il Monastero cistercense di Santa Giuliana di Perugia. Ricordiamoci infatti che un luogo come la Madonna della Villa, seppur piccolo e di passaggio, portava non poche offerte da parte dei pellegrini, soprattutto se si tiene conto che l’afflusso di questi rese necessaria la costruzione di un ospedale, ovviamente per i bisognosi innanzitutto, ma che serviva come luogo di riposo anche per i viaggiatori che volevano ammirare e pregare l’icona sacra. A vincere la contesa saranno i cistercensi di Santa Giuliana, grazie all’aiuto della più alta carica religiosa e politica del tempo, papa Sisto IV, che ne decreterà la vittoria mediante bolla papale.
Concludiamo riprendendo dunque il discorso d’inizio, non solo arte e storia, ma anche politica, economia, antropologia, insomma un po’ di tutto si può trovare tra i vicoli di un piccolo gruppo di case, nel rudere sperso in un bosco o magari anche solo sul selciato che calpestiamo… basta saper guardare…
La fonte di questo articolo è stata la ricerca fatta da Chiara Cavanna per il capitolo inerente la Madonna della Villa all’interno del libro “Sant’Egidio. Vivere il borgo” di Ornero Fillanti (Morlacchi Editore).

Immagini: Comune di Perugia