Skip to main content

Correva l’anno 1170 e nella città di Ferento, uno strategico borgo di origine etrusca, avviene un fatto ferocissimo: a seguito di un accordo ingannevole, i soldati viterbesi si nascondono nella notte e, con un movimento rapido e deciso, sfoderano le spade, mettendo a ferro e fuoco tutta la città.

Dalle chiese tutto viene trafugato, persino gli inviolabili corpi dei santi; e tra queste le reliquie di San Gemino, che si separano in due urne: una traslata a Viterbo, l’altra a San Gemini, a nord della Sabina, dove il santo è da tempo venerato in memoria della sua leggenda.

Una felice scoperta

I secoli passano e giunti al 1775 dell’urna sembra non esserci più traccia; ma un acuto cappuccino, padre Antonio, vuole trovarla a tutti i costi: rovista tra archivi e vecchie carte ingiallite, si informa con altri confratelli, ma niente: le sue ricerche sono vane.

Le voci volano e al popolo giunge notizia; nel mentre il cappuccino procede tra i vicoli, verso palazzo del capitano, con la testa pregna delle sue ricerche:

«padre Antonio!», disse un vecchio riconoscendolo, «il Santo… l’avete trovato?»

«ah… non è ancor tempo di suonare campane in festa!».

«se può servire, padre, la buonanima di mia nonna parlava di una camera, nascosta tra le mura della chiesa; come a difesa del Santo».

«dolci storie per bambini…» disse padre Antonio sorridendo, come se apprezzasse l’infantile ricordo del vecchio.

I due uomini si salutarono e padre Antonio, rimescolando varie ipotesi, incominciò a pensare alle parole dell’uomo: «una camera… tra le mura; e se fosse vero!». Affretta il passo, attraversa Porta Burgi ed entra in chiesa: osserva con attenzione ogni angolo e nota che tra il transetto e la sagrestia v’è un vuoto, come se vi fosse una camera segreta.

Foto porta burgi

Giunta la sera del 17 novembre 1775, nella città gelida, mentre i contadini rientrano da Porta Santa Croce e i camini riempiono i vicoli dell’odore di legna bruciata, dentro la chiesa i muratori, controllati da padre Antonio, si danno da fare per abbattere il muro della sacrestia. D’un tratto appare un vano a forma di cappella, con due arcate, un’immagine dipinta del Santo e al centro un’antica urna etrusca. Padre Antonio si avvicina; nota l’assenza del caratteristico coperchio a spioventi: la scatola è sigillata da una lastra di marmo bianco. Su di questa, quasi borbottando, il cappuccino legge le parole: «Hic requiescit corpus beatissimi Gemini…».

«Aiutatemi ad aprirla», afferma quasi balbettando. Il cappuccino afferra i due anelli laterali, mentre due uomini fanno perno ai lati lunghi del sarcofago; gli anelli, logori dalla ruggine, si sgretolano del tutto, mentre i muratori, intenti a sollevare la lastra di marmo, staccano parte della decorazione dell’urna. «Piano, solleviamola con calma», disse con severità padre Antonio, apprendendo che ormai il corpo del santo è rinvenuto.

foto vicoli san gemini 2

Un’accesa polemica

Se il corpo del santo arriva a San Gemini a causa di un’antica controversia, ancora con una controversia si rimette agli occhi dei fedeli. Padre Antonio intraprende a scrivere persino una biografia; pensando al possibile arrivo dell’urna in città: «forse dopo la scorreria dei Saraceni… per difendere la nuova fortezza, o piuttosto ai tempi di Arrigo IV, o durante lo scisma di Anacleto?».

Ad un tratto si presenta il vice di padre Antonio, balbettando:

«ho parlato con un membro della Società dei Bollandisti; e…».

«e cosa; parla!»

«da circa quattro anni, avrebbero appreso di una lettera del 1686, scritta da padre Bernardino Coccovagini: un’urna da lui stesso veduta nella cattedrale di Viterbo recherebbe l’iscrizione Hic requiescit corpus beatissimi Gemini…; per di più, da non poco, nel 1724, i padri viterbesi hanno rinvenuto le reliquie del nostro santo, riconosciutegli dalla Chiesa».

Padre Antonio polemizza animosamente; il riconoscimento della Chiesa viterbese lo terrorizzava. Intuisce che entrambe le urne contenessero lo stesso corpo, ma i viterbesi non si sarebbero certo accontentati, riconoscendo sia il potere taumaturgico delle reliquie sia quello economico. Si desta dai pensieri, prende carta e scrive: «A sua Eccellenza Reverendissima Adriano Sermattei, Vescovo di Viterbo [] il Vostro è un abbaglio assai notabile, per avere riconosciuto come corpo di S. Gemine quello di un santo anonimo; e riferirò anche la medesima obiezione agli storici di Viterbo…».

«Quali tracce li hanno condotti a tutto questo?», disse con preoccupazione padre Antonio.

«un’antica preghiera; per caso rinvenuta da padre Bernardino, all’interno di un codice: le Metamorfosi di Ovidio».

«Sembra evidente che tutto questo confermi l’opinione della Chiesa viterbese, ma non dobbiamo darci per vinti, e continuare a difendere le nostre reliquie… o San Gemini non avrà mai il suo Santo!».

reliquie san gemino - san gemini
foto porta romana 1 - san gemini