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La memoria storica che non può e non deve essere perduta o trascurata, perché un popolo senza di essa è come un albero senza radici.

E così i volontari dell’Ecomuseo del fiume Tevere hanno deciso di recuperare il Sentiero delle lavandaie e di ricordare il contributo che le donne dettero alla città e la storia della comunità di Pretola, la cui economia era tutta incentrata intorno alle potenzialità del fiume. 

Porta Pesa, punto di arrivo e partenza

L’escursione inizia dal sottopasso di Porta Pesa (ex-porta del Carmine), punto di arrivo e partenza delle lavandaie di Pretola. Proprio da questo arco partivano o arrivavano i carri carichi di panni che le donne lavavano nel Tevere. Scendendo lungo il borgo di Fontenuovo, a poche centinaia di metri, sulla sinistra c’è la fontana con due archi, monumentalizzata nel XIV secolo, dove le lavandaie, venendo su scalze per non consumare troppo le scarpe, prima di mettere gli zoccoli per entrare in città, si lavavano i piedi. Quando ripartivano alle 16, invece, scendevano verso il cimitero della città, lungo l’antica via Etrusco-Romana, poi via Regale e a circa un chilometro dalla fontana, scendendo a sinistra, c’è l’ingresso del sentiero che porta al paese di Pretola.

Lavandaie al Tevere nei pressi del Molino della Torre di Pretola:Leone Caterini (1886-1913) Lastra fotografica riproduzione digitale su concessione dell’Archivio Moretti Caselli di Perugia.

La settimana tipo delle lavandaie

“Iniziava di domenica e si concludeva di giovedì – racconta Claudio Giacometti, presidente dell’Ecomuseo del fiume Tevere, la cui nonna era lavandaia –. La domenica era il giorno di raccolta dei panni sporchi in città, dalle famiglie, dagli enti, dagli istituti e dalle caserme militari. Le lavandaie di Pretola partivano alle 7, di inverno alle 8:30, e per arrivare in città, percorrevano un sentiero chiamato ‘la corta’. In estate camminavano sempre scalze, gli zoccoli, ‘zocchi’, erano indossati solo all’ingresso della città per non consumarli, perché le lavandaie erano poverissime”. E, in serata, contrassegnavano i panni, facendo il punto croce con dei fili colorati per poter poi riconoscerli. Il lunedì, invece, era il giorno della prima bagnata ed insaponata ai panni nel fiume o al fosso. “Ogni donna aveva il suo ‘posto’ – racconta ancora Giacometti –, la sua ‘barca’, la sua pietra.

Per il trasporto dei panni usavano le ‘carrette’, le ‘ceste’ o i ‘fagotti’. Una volta bagnati i panni erano pronti per la ‘bucata’, ovvero il bucato, che veniva fatto nei fondi delle proprie abitazioni”. Le lavandaie poi ritornavano martedì e mercoledì al fiume o al fosso per l’ultimo lavaggio. “La mattina di martedì i panni venivano tolti dalle ‘scine’ – prosegue nel racconto –, trasportati nuovamente al fiume o al fosso per essere definitivamente lavati. Insieme alla ‘barca’, la ‘tavoletta’ e il sapone (grasso di maiale), veniva portato anche il ‘ranno’ su un secchiello, recuperato dalla ‘bucata’.

Per i clienti, che volevano colorare di ‘azzurrino’ le lenzuola, inoltre, le lavandaie portavano un catino con il ‘turchinetto’, polvere azzurrina avvolta in un fazzolettino, che usavano a fine lavaggio. Al termine di ogni lavaggio, i panni bagnati venivano trasportati con le carrette, i cesti o i fagotti su per la collina, dove ogni famiglia aveva i suoi fili per stendere i panni, e qui venivano messi ad asciugare anche lungo i bordi delle strade, che in quei tempi erano pieni di cespugli, o anche nel ‘pietriccio’ (letto di sassi) dell’ansa del fiume. Nella serata poi venivano raccolti, piegati e messi nei ‘fagotti’, pronti per essere riconsegnati in città”. Il giovedì, infine, nella piazza del paese, le lavandaie caricavano sui tre carri i fagotti e poi si incamminavano per la ‘corta’, per tornare in città e riconsegnare i panni ai clienti e poi ritornavano al paese.

La leggenda della Madonnina

Scendendo lungo il sentiero che porta verso il fiume, è possibile ammirare un paesaggio con colline ricche di olivi e macchia mediterranea. Il sentiero costeggia il fosso del Camposanto e dopo circa 40 minuti si arriva nei pressi della “Madonnina”, un’edicola rurale dei primi del ‘900, fatta erigere dalla famiglia Pero Eugenio. La leggenda ci dice che lo stesso Pero Eugenio sognò di trovare nel sottosuolo di quel luogo un tesoro. E sembra che nel terreno, dove oggi è edificata l’edicola rurale, fu trovata una pignatta di ‘marenghi d’oro’. Quindi, Pero Eugenio, per “grazia ricevuta”, fece costruire l’edicola rurale. Gli anziani del paese ricordano la “Madonnina” anche come luogo dove i giovani dei primi del ‘900 si promettevano amore. Negli anni a cavallo delle due guerre mondiali, l’edicola rurale era anche il capolinea di processioni religiose, che partivano e facevano ritorno alla chiesa parrocchiale. Spesso le lavandaie, nel percorrere il sentiero, in segno di devozione, effettuavano una breve sosta presso l’edicola rurale.

 

Il vigolo

“Alle porte del paese di Pretola – sottolinea il presidente Giacometti –, a pochi centinaia di metri dal fiume Tevere, scendendo a destra, rimane ben visibile il fosso. Fino ai primi anni ’60, era una grande risorsa economica per le lavandaie e sono ben vivi nei ricordi della gente i luoghi e i volti delle donne che ogni giorno vi lavavano i panni”. Tra i luoghi da visitare c’è anche il vicolo ‘vigolo’, dove ogni fondo aveva il necessario per fare ‘la bucata’: la fornacetta e il grande vaso di terracotta, la ‘scina’. “L’escursione è un’occasione anche per visitare questi luoghi significativi di questa storia – afferma Diego Mencaroni dell’Ecomuseo –. Abbiamo fatto un grande lavoro di ricerca di dati sulla vita quotidiana della comunità, iniziata nel 2008 e che ancora non si è conclusa del tutto. Poi abbiamo ridato dignità anche al sentiero, pulendolo, e attualmente lo si può tranquillamente percorrere”. 

Gli inginocchiatoi

Proseguendo verso il fiume, si può notare la Torre Medievale del XIII secolo, con i resti del mulino per la macinazione del grano. In questi luoghi, le lavandaie, aiutate anche dai mariti o dalle figlie, con le loro carrette portavano i tanti panni da lavare. Passavano intere giornate a lavare inginocchiate nelle loro ‘barche’, ovvero gli inginocchiatoi di legno, e sulle loro pietre. Altri strumenti indispensabili erano i secchi con il ‘ranno’ e i ‘bacinoni’ con il turchinetto. Le lavandaie erano poverissime, ma con il loro faticoso e umile lavoro erano di grande sostegno alla loro famiglia e alla loro città.

 

La chiesa di San Nicola e il pozzo medievale

L’escursione continua con la visita alla chiesa di San Nicola, che conserva affreschi di epoca medievale e rinascimentale. Lungo il percorso che va dalla torre alla chiesa si può notare anche un pozzo medievale ben conservato. A poca distanza dal pozzo, vicino la scuola materna, nei locali della sede dell’associazione, sono visitabili il centro documentazione demo-etno-antropologico e la mostra che racconta anche la storia delle lavandaie. Infine, si può visitare una ‘fornacetta’ dell’epoca presso una casa colonica a santa Petronilla, a circa 2 chilometri da Pretola.

 

Dipinto di George Inness

Un tributo alle lavandaie di Pretola è il quadro del 1873 di uno dei più grandi pittori romantici americani dell’800. Durante il suo soggiorno a Perugia nel 1873, non gli sfuggì la loro fama e le volle omaggiare rappresentandole nel dipinto “Washing day near Perugia”.