L’edificio dell’abazia di San Nicolò a San Gemini fu costruito intorno al 1037 sul sito di un preesistente cenobio, localizzato nelle immediate vicinanze di un monte inizialmente chiamato Arenaiolo, poi Fico Nero.
La chiesa fu dedicata a San Nicola di Myra conosciuto più comunemente come San Nicola di Bari, poi divenuto San Nicolò.
Il Santo nacque tra il 250 ed il 260 a Patara, nella Licia, divenne vescovo di Myra in un momento molto difficile per via delle persecuzioni ai cristiani.
Il culto di San Nicola ha origine in Asia Minore, fino ad estendersi nel mondo bizantino – slavo, a Roma e nell’Italia Meridionale.
A Bari il santo è festeggiato il 6 dicembre, e dal 7 al 9 maggio, quando le ossa vennero traslate da Myra a Bari, intorno all’anno 1087.
Il documento più antico che menziona San Nicolò risale al 1036, in cui risulta che il vescovo di Narni Dodone e suo fratello Giovenale donarono beni alla chiesa, all’epoca intitolata a molti santi oltre Nicola, come a San Simone, Santa Maria ed alla Santissima Trinità; da tenere presente che le molteplici intitolazioni erano comuni nelle chiese benedettine.
Verso la fine dell’XI secolo, l’abate Carbone, decise che la chiesa dovesse rientrare nei possedimenti dell’Abbazia di Farfa, assicurando così tranquillità alla comunità.
A seguito delle devastazioni ad opera dell’esercito di Federico II, l’abbazia venne ricostruita, è in questo momento che l’abside assunse una forma quadrata, divenendo il prolungamento delle navate, inoltre vennero costruite la facciata e la torre campanaria.
L’abbazia iniziò a perdere importanza verso il XV secolo, quando fu data in commenda ai Capitoli di S. Gregorio e San Pietro di Spoleto.
Nel 1775 venne “riconsacrata” dal vescovo di Amelia Carlo Maria Fabi dopo il ritrovamento dei resti di San Nicolò durante i lavori di ampliamento della sagrestia.

Il portale originario
Il XX secolo fu traumatico per la chiesa, in quanto si presentava in totale degrado, tant’è che nel 1910 il bellissimo portale venne asportato perché a rischio crollo, oggi lo troviamo conservato al Metropolitan Museum of Art and the Cloisters di New York.
Il nuovo portale è una fedelissima copia realizzata dallo scultore Fernando Onori di Roma, poggia e poggiava anche originariamente su due leoncini.
Lo studioso William H. Forsyth li ha ritenuti più antichi e provenienti da altro edificio, forse precedente.
I due leoni furono ricavati da due cippi carsulani, uno dei quali presenta un’iscrizione frammentari:
T.FLAVIO T.F / Q. EGNAT. AUG /EX.AERE CON./DECUR.ET.AUG/ET.PLEBIS URB./ OB.CVIVS DIDI /EGNATIA.CC./MATER/EPVLVM TIRRIT.
Anche l’architrave era di epoca romana, anch’esso di recupero; sul rovescio era presente un’ epigrafe romana che menzionava un Laberius, membro di una nota famiglia carsulana.
L’interno
L’interno è suddiviso in tre navate, separate da colonne alternate a pilastri, le pareti erano decorate da numerosi affreschi, oggi purtroppo rimangono visibili solo la Madonna col Bambino in trono nella parete absidale, risalente al 1295, opera di Ruggero da Todi ed un’altra Madonna col Bambino sul primo pilastro a sinistra accanto all’ingresso.
Diversi sono i frammenti decorativi ed architettonici esposti, tra cui un capitello corinzio, porzioni di cornicione e materiale altomedievale.
È presente la scultura di un leone che atterra un ariete, ravvisabile anche nelle facciate di alcuni palazzi comunali del XIII secolo.
