Fra poeti, cantanti e registi, le forme di racconto del camposanto sono infinite. Quanta poesie, quanto animo c’è in ogni parola dedicata a tombe e cipressi. Da Ugo Foscolo a Fabrizio De André, da Sergio Leone ai Baustelle.
Ed è proprio citando la band toscana che voglio iniziare questo racconto:
Quindi lascia perdere i programmi coi talenti, i palinsesti, per piacere non andare a navigare sulla rete, stringi forte chi ti vuole bene tra le tombe del monumentale, trovi Dio, trovi Montale, ed un’opaca infinità.
A Perugia, in via Enrico dal Pozzo, vedrai, troverai un cimitero, degno di una grande opera monumentale. Qui fra le tombe di anime perugine, allontanarsi dalla vita frenetica è possibile, anzi, è necessario.
Un viale alberato si presenta ai tuoi occhi come una strada lunga e infinita, un cammino ultra terreno, oltre la terra. Ai margini della strada alberata principale, possenti e imponenti tombe si affacciano con una dolce prepotenza sulla tua testa, sui tuoi occhi. Tre sono le vie principali sulle quali muoversi per far visita a chi convive ancora con noi, senza mai lasciare la terra, rimanendo con l’anima dentro una magnifica statua di marmo, alata o velata.

Venne edificato successivamente al famoso editto napoleonico di Saint Cloud che vieta la sepoltura dei defunti dentro le mura cittadine, quell’editto che Ugo Foscolo fece marcire nella sua grande opera: I Sepolcri. Un affronto per il pensare del tempo, metà ottocento, che vedeva nelle direttive sanitarie un’ingiuria per la forzata lontananza dei propri cari passati a nuova vita.
Nasce dunque il cimitero perugino , l’intima città dei morti, colpita dal cambio delle stagioni, dalla profumata primavera e dalla nebbia invernale che sfuma e ricopre di umidità epitaffi di vite passate. Corpi leggeri danzano fra i cipressi, si toccano, si trapassano, ridono, piangono. Urla di voci che non possiamo più ascoltare volano come vortici di uragani, forse chi esiste ancora può percepirli ma non capirli. Lo spazio, il tempo, in questo luogo cambia, parla con lacrime, con sorrisi, racconta storie di donne e uomini, che hanno nomi comuni, eccentrici, forse degni della vita consumata o forse no.
Ogni religione ha il proprio pezzo di terra che convive in armonia e senza conflitto. Cattolici, islamici, ebrei non si fanno la guerra come sul suolo palestinese, nessuno sgancia bombe, nessun bambino già morto, muore due volte. È pace, riposo, ritrovarsi senza discordia.


Ma forse la differenza martella ancora dopo la morte e sicuramente la tomba della gloriosa famiglia degli Oddi è diversa da quella del partigiano Mario Grecchi a sua volta dissimile da quella dell’operaio caduto dalla sua instabile impalcatura. Difatti l’architettura dei sepolcri è rappresentativa di ciò che si è stati in vita ma soprattutto di ciò che si ha avuto. Non per questo le opere marmoree sono meno belle, anzi. Create da scultori e architetti perugini a cavallo fra ottocento e novecento, che hanno studiato e fatto crescere le loro doti all’Accademia delle belle arti di Perugia, conservano mistici segreti e dolci racconti d’amore. Un epitaffio, sotto la delicata figura scultorea di una giovane donna, recita così: Morte assai dolce ti tegno, tu dei omai esser cosa gentile, poiché tu se’ nella mia donna stata.
Una cappella a forma di piramide egizia svela mondi nascosti, l’esoterico si cela insieme alle anime che cercano la carne, vorrebbero abbracciarla. La massoneria è qua affascinante e incomprensibile.
Una volta dal cielo stellato protegge famiglie che forse non hanno più eredi sulla terra.
Una poetessa che in vita scrisse: « son persuasa che non si possano scrivere idilli senza studiare la natura sul vero con amore di paesista. Bisogna compor quelle tinte giuste, quelle sfumature, quei tocchi di luce radente propri ad un luogo solo e non comuni a tutti. Così giunge il pittore ad ottenere lo sfondo e la trasparenza. Come non dovrebbe il poeta? Ho verificato che l’alito vivificante dei campi rinfresca lo stile e gli dona una certa vita luminosa e mobile, anche allora che non ci occupiamo di paesaggio e di idillio. Pare che l’arte coltivata solo dentro uno studio chiuso e in mezzo ai libri puzzi di muffa e polvere» riposa in questo grande e meraviglioso giardino fra la sua immortale lirica e botanica.


Questo angolo di terra dal quale è possibile scorgere il centro di Perugia, sortì il fascino sul genio della pellicola dell’orrore. Dario Argento difatti nel 1975 girò alcune scene di uno dei suoi capolavori: Profondo Rosso.
I protagonisti David Hemmings e Daria Nicolodi, venuta a mancare meno di un mese fa, si aggirano fra le tombe ebraiche per il funerale della prima vittima, camminano lungo il viale alberato ed escono dal cimitero con l’inquietudine di chi ha appena capito di ritrovarsi in una storia che fa tremare la pelle.
