Quando si inizia un racconto con un “forse non tutti sanno che”, l’attenzione è assicurata. Un attacco che ben calza con la storia della seconda fontana di Perugia, detta “la Minore” o degli Assetati, firmata dal maestro del medioevo Arnolfo di Cambio.
Era il 1277 quando il Comune di Perugia, commissionò ad Arnolfo di Cambio una seconda fontana, dopo quella Maggiore, che doveva essere collocata “in pede fori”, nella parte bassa della grande piazza cittadina. Ovvero dove si trattavano gli affari e dove si svolgeva il mercato, entro i confini della parrocchia di Santa Maria del Mercato, a metà di corso Vannucci, tra le attuali via Danzetta e via Mazzini. Sulla struttura della fontana Minore, di cui purtroppo non ci sono testimonianze della fattura, sono state fatte molte ipotesi, ma non è escluso che la fontana minore potesse avere dimensioni monumentali.

LA FONTANA DEI POVERI
Se la fontana Maggiore, opera di Giovanni e Nicola Pisano, doveva avere una funzione promozionale e celebrativa del potere istituzionale, rappresentando un bell’ornamento della piazza, quella Minore, o degli Assetati, viene invece concepita come fonte ad uso della popolazione per gli usi quotidiani.
Le fontane hanno un peso rilevante in una città che viveva di commercio e che aveva le acque lontane. Ecco che le opere idrauliche sono nella storia perugina una ricorrente forma di impegno della municipalità che deve portare l’acqua ai cittadini.
Ma qualcosa non andò come doveva perché se nel 1281 venne completata, nel 1308 venne smembrata, forse a causa della potenza dell’acquedotto che non riusciva ad alimentare adeguatamente due grandi fontane nel centro storico. Insomma, dovendo sacrificarne una, la scelta ricadde su quella meno illustre.

COM’ERA
Cosa rimane della fontana degli Assetati? Troppo poco. Sono ben cinque gli elementi, tutti realizzati in elegante marmo di Carrara, conservati nella Galleria Nazionale dell’Umbria, che permettono di immaginare come doveva essere quest’opera.
Questi frammenti sono tra le testimonianze più controverse e affascinanti della scultura medievale italiana. Attraverso l’analisi di questi frammenti è possibile riconoscere l’originale impostazione figurativa del maestro toscano che, artista, architetto e scultore, fu una figura di straordinario impatto in un’epoca in mutazione.
La fontana di Perugia, di fatto, è la prima opera a noi nota che l’artista realizza in autonomia, in proprio. La semplicità dei soggetti e della scelta del linguaggio rendono quest’opera di una modernità incredibile introducendo per la prima volta immagini assolutamente nuove, come quelle dei mendicanti e della povera gente, in un contesto pubblico.
La fonte era dominata, inoltre, dalle statue in bronzo dorato del Grifo e Leone, simboli rispettivamente del Popolo e del Comune, trasferiti già prima del 1301 sopra il portale nord del palazzo comunale.
Poi trovarono collocazione all’ingresso della sala delle pubbliche adunanze del Palazzo dei Priori e, negli anni ’90, nella sala del Grifo e del Leone, al piano terra del palazzo. Ora si trovano nell’atrio, al lato sinistro della porta di ingresso.

LE CINQUE STATUE
Dai frammenti del di Cambio rimasti si deduce che il tema dell’acqua è stato affrontato sia dal punto di vista civico, come bene dispensato alla comunità dal Comune cittadino, sia come simbolo religioso della salvezza divina.
Oltre ai due giuristi, uomini con la toga e libri in mano che rappresentano le autorità comunali che avevano commissionato l’opera, e il giovane paralitico che sembra essersi trascinato alla fonte per bere, ritroviamo le figure di due popolane intente ad utilizzare l’acqua nella maniera più semplice che esista.
Arnolfo di Cambio immortala l’attimo in cui una giovane assetata si concede un momento di riposo. Mentre il velo le scivola indietro, la giovane si rinfresca alla fonte appoggiata ad un’anfora. Commuove l’anziana popolana che, inginocchiata a terra con le braccia protese in avanti, raccoglie l’acqua. Intorno alla bocca e agli occhi scorgiamo delle rughe sottili.
Quel che rende unica la fontana degli Assetati è il fatto che Arnolfo di Cambio sceglie di raffigurare gli strati più umili della società, riportandone le sofferenze, le fatiche, i disagi in bella vista a tutta la città. Forse per mostrare come quella seconda fontana avrebbe migliorato la qualità di vita dei cittadini. O forse per esercitare quella sensibilità nell’arte che lo ha reso il maestro del Medioevo.