Ci vuole un gran coraggio ad aprirsi all’altro, a mettersi a nudo rivelando i lati più profondi, e in qualche modo oscuri, della propria anima. Soprattutto quando si è sofferto di una problematica di salute ancora tabù in molti contesti sociali. Come un disturbo del comportamento alimentare (DCA), ad esempio.
Giorgia Bellini, umbra, autrice del libro Nata due volte, conosce bene questa forza: quella di chi ha chiesto aiuto, si è aperto alla cura ed ha sconfitto un DCA. E non è decisamente cosa da poco.
In tutta Italia, secondo le ultime stime ISTAT, sono circa 3,5 milioni le persone che convivono, a volte inconsapevolmente, con questo tipo di disturbo dell’anima. Una gabbia quotidiana che spesso isola e distrugge chi la vive. Perché non si tratta solo di mangiare troppo poco o troppo. Il problema è molto più complesso.
I dati della prima Survey Epidemiologica Nazionale sui Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione (Dna) del Ministero della Salute, rilasciati nel 2022, descrivono un quadro regionale e nazionale allarmante della tematica, che non è solo un problema femminile, come si riteneva fino a pochi anni fa. È qualcosa che potenzialmente può coinvolgere chiunque. I più giovani in primis.
Giorgia lo sa, ci è passata, ed è consapevole che il primo problema in Italia, è individuare i giusti esperti a cui chiedere aiuto, che agiscano in maniera coordinata e multidisciplinare. Per questo ha ideato una soluzione tanto lanciata nel futuro quanto semplice, per aiutare chi ancora non è riuscito a trovare strutture e professionisti in grado di fornire cure adeguate: una piattaforma online.
Le origini del suo libro e della piattaforma, perfettamente in linea con le nuove frontiere dell’e-health, ce le racconta proprio Giorgia Bellini.

Ormai da qualche anno, tramite la tua attività giornaliera, nei social media e naturalmente con il tuo libro Nata due volte, ti sei fatta narratrice di una storia che è comune a molte persone in tutta Italia. Nel tuo caso questa storia ha un lieto fine ma non è sempre così, purtroppo.
Ti va di raccontarci come tutto è cominciato, magari aiutando a comprendere, chi non conosce i DCA, perché è così difficile anche solo chiedere aiuto?
Ho iniziato a soffrire di disturbi alimentari intorno ai 13-14 anni, trovandomi inizialmente in quella fase della malattia chiamata fase della luna di miele. È un momento in cui la persona si sente invincibile, si sente forte e pensa di avere il controllo .
Ma questa fase della luna di miele dura ben poco e la malattia ti toglie tutto: amici, stimoli, obiettivi. Gli unici pensieri che hai sono relativi al cibo, alle calorie, al mangiare.
Però cos’è un disturbo alimentare precisamente?
Sicuramente un DCA non è un problema legato al cibo. Il cibo diventa solo un mezzo per proteggersi da altre paure e insicurezze.
Per questo è quindi molto difficile uscirne. Non è una mera questione di volontà, tutt’altro. Ti eri subito accorta di avere sviluppato una problematica di questo tipo?
No, in realtà io a 14 anni non sapevo neanche cosa significasse soffrire di disturbi alimentari perché innanzitutto a scuola non ci avevano mai parlato di cosa fossero. Ma neanche avevo sentito parlarne fuori.
Ci riferiamo comunque a più di 10 anni fa. Mi ricordo che a 14 anni fu mia nonna, che era un’allenatrice di pallavolo e una professoressa di educazione fisica, a farmi conoscere questo problema e a farmi capire che stavo male.
Mi indusse a dirlo ai miei genitori, ma loro inizialmente pensarono fosse uno scherzo. Fu un momento difficile perché non mi sentii compresa e mi sentii molto sola.
Un senso di solitudine che molte e molti provano e che spesso è proprio uno dei fattori che impedisce una rapida diagnosi precoce. Tu hai trovato supporto dopo quanto tempo dall’inizio del DCA?
Feci la prima visita in una struttura umbra, il centro DCA Palazzo Francisci a Todi, stesso a 14 anni, con una nutrizionista e una psicologa.
Dissero che dovevo essere ricoverata urgentemente in struttura ma io ero ancora troppo piccola, poco consapevole, e avrei perso l’anno scolastico. Quindi decisi con i miei per un percorso ambulatoriale.
Ma comunque non lo seguivo bene: ne uscivo spesso, pretendevo di guarire in poco tempo… poi mi sono accorta che servono anni per riuscirci.
A 18 anni, dopo aver raggiunto il limite, mi resi conto che l’unica persona che poteva acconsentire profondamente a fare qualcosa ero io. Perciò appena fatta la maturità chiamai il centro DCA di Palazzo Francisci e feci un percorso in ricovero per 4 mesi. Ho comunque continuato il percorso in modo ambulatoriale dopo il soggiorno in struttura per molti anni.
E il libro e i tuoi canali social come sono arrivati? C’è un motivo specifico per cui hai deciso ad un certo punto di raccontare la tua storia così sinceramente, con coraggio?
Durante la pandemia, io stavo già molto molto meglio, sentivo in TV che tanti parlavano di come, non potendo uscire, non potevamo fare sport e quindi tutti sarebbero ingrassati. Il tutto in modo forse eccessivamente allarmistico. E ho pensato che non fosse il messaggio da comunicare o almeno il messaggio adatto a chiunque.
Per questo ho aperto il mio profilo Instagram e attraverso la mia esperienza, la mia storia, vedevo che aiutavo chi mi seguiva, che aveva un DCA, a non sentirsi solo nonostante l’isolamento. Il libro l’ho scritto in parte per lo stesso motivo. Per far capire che non c’è alcuna ragione di vergognarsi di avere un DCA dopotutto, anche se è difficile far comprendere la propria condizione. Chiedere sinceramente aiuto e supporto è un atto di forza. Non di debolezza.
Ho voluto anche trasmettere che uscire da un disturbo alimentare è complicato, ma non è impossibile, tutt’altro.
Con un disturbo di questo tipo non impari a conviverci: se ne esce!
Una piattaforma online è quindi il prossimo passo di questo percorso di sensibilizzazione che stai portando avanti anche tramite il libro?
Esatto. Mi sono resa conto che c’è comunque bisogno di azioni più concrete. Servono esperti per creare un network capillare che renda l’accesso alla cura e ai professionisti abilitati, realmente specializzati, più semplice e rapido. E una piattaforma online mi è sembrato il modo migliore e anche più moderno per organizzare questo network.
Perché uscirne da soli, se è possibile, è complessissimo. Gli esperti sono fondamentali se si vuole guarire e trovare la via più sana e vitale per farlo.
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Parole preziose quelle di Giorgia, visibilmente sentite. Nonostante la giovane età, è decisa, matura e consapevole mentre parla. Il suo atteggiamento e le sue parole trasmettono un messaggio limpido: il “mostro”, il disturbo del comportamento alimentare, si può battere.
Ma non servono le testarde insistenze. Non servono i laconici “mangia, che sei troppo magra” o “dovresti metterti a dieta. Non è difficile”. Non è certamente necessaria la resistenza tremenda e insensata al cambiamento, interiore ed esteriore, oltre che la resistenza al cambiamento familiare.
Il disturbo si può guarire solo con un paziente ed instancabile ascolto; con la razionalità e la competenza di professionisti della cura dell’anima e del corpo che lavorino in modo integrato; con la vicinanza degli affetti che restano accanto anche quando è impossibile comprendere.
Si può guarire restando pazientemente nella propria mente e nelle sue ragioni, per vedere quale messaggio ha da raccontarci.
Così si potrà comprendere, come Giorgia, che tutto quel dolore è sensato: basta solo ascoltarlo per diventare la versione migliore di sé, nella realtà del nostro mondo complesso. La storia di Giorgia è l’esempio che una terapia efficace e funzionale esiste: che uscire dal problema e anche aiutare gli altri a guarire è possibile.
