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Tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta di tarantella, taranta pugliese, saltarello: alcune regioni, soprattutto al Sud Italia, hanno avuto la capacità nel tempo di proteggere le proprie musiche tradizionali e balli , rendendoli una nota di colore insostituibile del folclore e turismo locale. In Umbria cosa è accaduto? Gli abitanti della regione non cantavano nulla di speciale? Non danzavano?

Anche se alla questione raramente si pensa e ancor più raramente se ne parla e discute in contesti pubblici, l’Umbria fino a pochi decenni fa aveva le sue musiche tradizionali, note e diffuse un po’ in tutta la regione, ma c’è un problema: di fatto oggi non si sa dove siano finite.

Probabilmente non sono scomparse: alle tradizioni sentite nel profondo, e risalenti a secoli e secoli prima, raramente accade. Eppure non le si sente più queste musiche popolari, si fa addirittura fatica ad immaginarle nelle feste di paese e durante i momenti più significativi dell’anno.

Sono pezzi che si nascondono nelle case, fra le carte di qualche nonno, nella mente dei contadini più anziani, suoni vittime, come un po’ tutto il folclore nel tempo, per definizione, dell’oblio e della modernità.

Ma queste canzoni e balli tradizionali esistevano e oggi potrebbero avere un grande potenziale nella valorizzazione del territorio rurale umbro.

Gli studi etnomusicologici di Seppilli e Carpitella

Gli studi etnomusicologici effettuati negli anni ’50 da Diego Carpitella e Tullio Seppilli hanno salvato e fissato su supporto audio-video una parte del patrimonio musicale popolare umbro, oggi caduto in generico disuso ma almeno non andato perduto.

Grazie alle registrazioni effettuate sul campo, sfruttando attrezzature professionali RAI, fra il 1956 e il 1958, i due studiosi, in collaborazione con il Centro Nazionale Studi di Musica Popolare, riuscirono a classificare molte musiche, danze popolari ed occasioni e funzioni relative. Le scoperte effettuate sono state pubblicate nel libro Musiche tradizionali dell’Umbria. Le registrazioni di Diego Carpitella e Tullio. di P.G. Arcangeli e V.Paparelli (Squilibri – 2013). 

È grazie a questo interessante studio, quasi isolato, che oggi possiamo ancora sapere come era fatta la musica tradizionale umbra e di cosa parlasse. Appunto, di cosa? Soprattutto della vita quotidiana, delle storie e dell’anno agricolo delle campagne. Uno dei motivi della scomparsa dei balli e dei canti popolari è legato proprio a questa ruralità delle musiche. Perse le abitudini contadine, con il supporto della radio e della TV, che diffusero già negli anni ’50 nuovi linguaggi, divi e nuove melodie “moderne”, le canzoni popolari persero il loro scopo.

Già nel ’56 Seppilli e Carpitella dovettero inoltrarsi molto internamente nella campagna umbra per registrare il loro tesoro etnomusicologico. Ma comunque il bottino fu consistente.

Quali musiche tradizionali?

Analizzando le raccolte che costituiscono il grande lavoro sopra citato, si scopre che la musica di tradizione orale umbra era fortemente “centrale” cioè molto simile ed affine nei rituali, ritmi e tematiche alla musica tradizionale toscana, marchigiana, laziale ed anche romagnola.

Insomma, l’impianto musicale e coreutico era in effetti appenninico, come naturale che sia per l’Umbria.

Si cantava moltissimo in endecasillabo, mentre le strutture ritmiche che lo accompagnavano erano varie, sia rigide che libere.

Gli stornelli in dialetto accompagnavano moltissime attività: erano canti di lavoro, serenate, lamenti funebri e anche conduttori delle danze.

E a proposito di danze, c’erano dei balli tipici umbri, un po’ come è tipica la Taranta dell’area del Salento pugliese?

C’era il saltarello, nome che oggi identifica per lo più i tradizionali balli dell’area dell’amatriciano ma che stando alle registrazioni del ’56 era diffuso, con altri testi, anche in Umbria, ad esempio nella zona di Morra.

Altri balli popolari erano la Polka , il trescone, il punta e tacco e lo scioltis. 

Canti religiosi e narrazione

L’impianto religioso e rituale umbro è certamente a base cristiano-cattolica. Non sorprende quindi che molti canti tradizionali umbri fossero legati al calendario liturgico, ad esempio alle giornate di festa.

Come nelle Marche, canti diffusissimi erano le pasquarelle, le passioni e i maggi venivano cantate non solo a Pasqua, come suggerirebbe contrariamente il nome, ma anche a Natale.

Affiancate a queste anche le ballate, vere e proprie narrazioni in ottava rima e le canzoni per i bambini: nannarelle, filastrocche e badarelle.

Nei testi di queste canzoni sopravvive un mondo completamente diverso da quello moderno, più unito nella quotidianità, forse più lento e fisiologicamente noioso, nel quale la musica era compagnia, era racconto per tramandare storie e ricordi, e serviva a scandire il tempo, non solo a distrarre.

La musica popolare umbra era musica fatta, condivisa, non possesso di pochi eletti, ma bagaglio culturale di tutti gli abitanti delle campagne.

Questo bagaglio fortunatamente non è andato perduto. Per tornare in vita però deve trovare nuova collocazione, magari una sistemazione più viva e attiva di quella negli archivi di Etnomusicologia dell’Accademia di Santa Cecilia a Roma, che possono solo custodirlo.

Chissà se un giorno queste musiche tradizionali torneranno fra la gente, fra le case delle campagne umbre.

Grotti - veduta del paese