Fino a qualche decennio fa la regione Umbria veniva considerata, a ragion veduta, tagliata fuori dalle reti di comunicazione principali. Tale condizione fisica ha spesso fatto credere che il “cuore verde” fosse rimasto terra vergine, poco o nulla toccata dal turismo che nei secoli precedenti ha sempre più lambito la penisola.
In effetti, se da un lato erano altre le mete più ambite oltre che più facilmente raggiungibili, dall’altro alcuni dei più conosciuti ed importanti nomi della letteratura, dell’arte, della scienza e della cultura in generale, hanno messo piede su suolo umbro in tempi non sospetti, rimanendone giustamente stregati; magari patendo un po’ per arrivare alla meta, ma sicuramente ripagati dai meravigliosi scorci naturali e dai luoghi storici che solamente qui potevano ammirare.
Il filosofo francese Michel de Montaigne giunse in Umbria nel 1581, per capire quanto rimase stregato dai paesaggi che vi trovò basta leggere un estratto dai suoi diari di viaggio: «Mille diverse colline rivestite ovunque di ogni tipo di albero da frutto, le più belle vallate, un numero infinito di ruscelli, non un pollice di terra inutile […] e fra queste montagne così fertili, l’Appennino mette in mostra le sue cime inaccessibili e come imbronciate, dalle quali scorrono torrenti pronti a trasformarsi di lì a poco in ruscelli piacevoli e dolci». Tra le curiosità che lo scrittore annotava riguardo alle usanze della cucina autoctona fanno una certa simpatia le sue lamentele sull’assenza del burro e che praticamente tutto veniva cucinato nell’olio; inutile dire che non trovò mai del pesce fresco, mentre diventa particolarmente critico quando afferma che non sapevano come cucinare le verdure…

Johann Wolfgang Goethe passò rapidamente nel 1786 per Perugia ed Assisi, qui in particolare ammirò il Tempio della Minerva. Ma forse la cosa che più lo estasiò fu la vista, in quel di Spoleto, delle enormi arcate dell’acquedotto (il Ponte delle Torri), imponente opera degli antichi sopravvissuta al passare del secoli.
Pochi decenni dopo sarà il bello e dannato poeta George Gordon Lord Byron ha scrivere versi sublimi dopo aver visto le terre umbre. Sicuramente sostò a Foligno (cittadina in cui alloggiò anche il già nominato Goethe durante il suo viaggio in Italia), ma è dei corsi d’acqua della regione che il nobile poeta si innamorò. All’Umbria Byron dedica undici strofe del suo Il pellegrinaggio del giovane Aroldo, di cui quattro al Trasimeno, tre al Clitunno e quattro alla Cascata delle Marmore, per un totale di circa cento versi.
Anche lo scrittore danese Hans Christian Andersen passò per le colline del centro Italia nel 1833 ed anche lui rimase incantato dalla vista del Lago Trasimeno descrivendolo nei seguenti estasiati termini “illuminato dalla sera, come oro fiammeggiante fra le montagne azzurre”, per poi aggiungere “dall’alto e al di là delle distese di uliveti, ammiravamo lo stesso incantevole paesaggio che si rifletteva negli occhi di Raffaello come aveva fatto in quelli di Augusto…”. Non è poi così superbo pensare che forse, nel pieno dell’estasi, Andersen abbia trovato qui, guardando le anatre selvatiche che ancora pescano nel lago, lo spunto e l’ispirazione per creare la celebre favola del brutto anatroccolo.
Alexandre Dumas (il padre, ovvero il creatore de I tre moschettieri) passa sicuramente per Perugia e Terni, ma se in quest’ultima, come molti dei suoi contemporanei si ferma per poter ammirare le celebri cascate, nella prima si ferma scortato dai carabinieri, come sosta di un viaggio nel 1835 che finirà a Roma, dove dovrà fare i conti con la legge dello Stato Pontificio in qualità di scrittore sovversivo.
Dieci anni dopo fu la volta di Charles Dickens, noto romanziere della società industriale a fare tappa nei due capoluoghi di regione. Soprattutto Perugia lo colpisce per la sua inespugnabilità, a riguardo afferma in Pictures from Italy “Perugia è dotata di un grande mezzo di difesa grazie al suo ambiente naturale e alla mano dell’uomo. Sorge bruscamente su un altopiano elevato sopra la pianura, dove le montagne viola si fondono con il limite più lontano dell’orizzonte. “
Nel 1855 un’altra grande penna della letteratura ottocentesca passa per la piazza del centro perugino rimanendone particolarmente affascinata. Stiamo parlando dell’irriverente George Sand, scrittrice chiacchierata, soprattutto nei suoi amori e nei suoi costumi, termine quest’ultimo da leggere nel senso più ampio giacché veniva notata al tempo non solo per lo stile di vita disinvolto, ma anche perchè spesso vestiva con abiti maschili. George descrive la piazza del Duomo rimanendo colpita dalla forte impronta medievale ancora intonsa e immutata della sua urbanistica e delle sue forme e ne sottolinea il contrasto con le ben più regolari linee di gusto rinascimentale che spesso, nei borghi dell’Italia centrale, la fanno da padrone.
Anche l’autore de La lettera scarlatta Nathaniel Hawthorne prosegue la pratica del “Grand Tour” (viaggio turistico-culturale che vede i luoghi italiani come tappe fondamentali per la conoscenza della bellezza e del passato, molto in voga nell’Ottocento) giungendo nella penisola nel 1858. Toccherà Assisi, ma sarà ancora più toccato dalla vista di Perugia, non solo per l’ammirazione verso le opere del Beato Angelico e del Perugino, ma soprattutto per il paesaggio storico urbano con i suoi vicoli stretti e gli archi che sovrastano le viuzze rendendole “oscure come grotte”. Lo scrittore riverserà tali vedute in un intero capitolo del suo ultimo romanzo Il fauno di marmo, spostando la narrazione della storia proprio nel capoluogo umbro.

Alla fine del XIX secolo arriva l’illustre Henry James, altro immenso nome della letteratura americana; anch’egli rimane piacevolmente colpito dal centro perugino tanto che consiglia ai viaggiatori che faranno tappa nel capoluogo umbro di “non avere fretta, di camminare dappertutto molto lentamente e senza meta e di osservare tutto quello che i suoi occhi incontreranno”, come ad esortare l’ipotetico turista di lasciarsi trascinare all’interno delle antiche strade per perdersi in esse.
Ovviamente si potrebbe proseguire l’elenco dei visitatori illustri per pagine e pagine. Basta pensare a Richard Wagner che soggiornò in Umbria nel 1880 oppure al premio Nobel Hermann Hesse che visitò la regione nel 1907 o ancora André Suarès, il poeta francese che tanto rimase sbalordito dal poderoso Palazzo dei Consoli di Gubbio, “il suo aspetto altero e teso è quello dell’uccello da preda che sta per volare”.
Così, dal mazzo dei nomi altisonanti della cultura concludiamo con le parole di quel genio della scrittura inglese che fu Virginia Woolf, anche lei turista in Umbria nel lontano 1908. Anche lei ad Assisi, che descrive nei suoi diari di viaggio senza mai nominare San Francesco e poi a Perugia ovviamente, della quale dà un bellissimo schizzo all’interno dei suoi diari, “sulla sua collina, con la silhouette delle alte torri e degli edifici squadrati addossati gli uni agli altri: non c’è morbidezza, niente di indistinto, ma comincio a capire che questa terra ha un suo carattere, con gli alberelli raggrinziti e i contorni marcati, che presto renderà insulso qualunque altro paesaggio”. Ed infine, in visita al Collegio del Cambio, scopre la bellezza e l’ineffabile mistero racchiuso nel linguaggio dell’arte di fronte agli affreschi del Perugino, “com’è silenziosa questa bellezza, com’è muta; è come se salendo dal fondo fosse rimasta bloccata sulla superficie, e ora non c’è che lei, nelle sue forme invariabili”. Che dire? Chapeau!