Ispirati dai nuovi finalisti dell’edizione 2022 del Cappelletto d’Oro, Real Umbria fa un viaggio culturale e gastronomico con gli umbri expat.
Mangiare i cappelletti in brodo in estate potrebbe suonare strano, addirittura impossibile? Ebbene, è proprio così che fanno gli umbri in alcune parti del mondo.
Nell’attesa di conoscere il nuovo vincitore o la nuova vincitrice della gara gastronomica Cappelletto d’Oro 2022, abbiamo fatto un salto virtuale dall’altra parte del mondo con l’Associazione degli Umbri in Brasile per capire come viene cucinato e preparato quello che è uno dei piatti simbolo della nostra regione.
Gli umbri trapiantati in Brasile mangiano i cappelletti il 24 e 25 dicembre (solitamente all’estero non si festeggia santo Stefano!). E fin qui, nessuna sorpresa, se non per il fatto che i nostri mesi invernali nell’emisfero sud corrispondono ai mesi estivi…
Di fatti, come poi ci ha confermato anche Aldo Spina, presidente dell’Associazione, nonostante il caldo gli umbri del Brasile — da bravi umbri — non possono a fare a meno dei cappelletti, rigorosamente in brodo, a Natale: fa caldissimo, spesso i termometri segnano 38°C, ma la tradizione vuole che si faccia così.
Lo chef e ristoratore eugubino Sauro Scarabotta, proprietario di un famoso ristorante italiano a San Paolo, ricorda l’importanza del cibo per gli immigrati umbri. «Il cibo è indubbiamente elemento chiave della nostra cultura, ed è anche quello che ci identifica, ci unisce e ci riunisce, soprattutto all’estero».
Il presidente Spina, cannarese che da oltre 50 anni vive nella città paulista, ci racconta che all’interno dell’organizzazione sono molti i membri a cui piace cucinare e, di conseguenza, tramandano di generazione in generazione le varie ricette, compresa quella del cappelletto umbro.

Di generazione in generazione
Bisogna mettersi in gioco e allenarsi, sostiene lo chef: «Fare e rifare, fare e rifare, e ancora fare: è così che s’impara a chiudere i cappelletti. E lo si fa rigorosamente in gruppo: cucinare è condivisione».
La manualità è legata alla tradizione orale, e viceversa. «Le ‘guardiane’ e responsabili delle ricette erano le donne umbre trasferitesi in Brasile con la propria famiglia», spiega Scarabotta. «Loro cercavano, ogni giorno, di adattare le ricette umbre, le uniche che conoscevano, nel paese d’arrivo, con una cultura gastronomica assai diversa da quella di origine», sottolinea.
Le ricette venivano trasmesse oralmente, fino ad arrivare alle nuove generazioni di “umbrobrasiliani”. E così, parte della tradizione gastronomica, e perché no identitaria, di questa comunità rimase viva. «Alcune di queste ricette sono state riprese anche da ristoratori umbri trapiantati a San Paolo», afferma.
All’interno del processo migratorio verso il Brasile, a metà dello scorso secolo, v’erano molti umbri originari di Gubbio, Sauro compreso. «I cappelletti sono un’eredità dell’Alta Umbria, che a sua volta li ha ereditati dal ducato di Montefeltro». Lungo i secoli venne considerato un piatto costoso perché prevedeva l’utilizzo di uova fresche e carni varie, il che spiega l’abitudine di mangiarli a Natale.
La memoria passa anche dal gusto
Nello Stato di San Paolo gli umbri non li mangiano solo a Natale, ma anche quando s’incontrano. «Cucinarli è, in primis, un’attività di gruppo», aggiunge lo chef eugubino. «Per noi, preparare i cappelletti e il ripieno sono due importanti momenti di condivisione», conclude.
L’Associazione organizza, inoltre, anche officine e incontri con l’intento di insegnare ai membri e al pubblico in generale la preparazione di piatti tipici della tradizione umbra.

Settimana della cucina italiana nel mondo: Umbria, presente!
Ogni anno il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (Maeci) promuove, in tutto il mondo, la Settimana della cucina italiana. 7 giorni, 20 regioni italiane, 20 ristoranti.
San Paolo, considerata la città più italiana fuori dall’Italia (una megalopoli di oltre 12 milioni di abitanti, di cui circa 6 milioni discendono da italiani) non poteva non parteciparci.
Al ristorante “umbro” si trovano tra le proposte, la fojata umbra, il pecorino di Norcia, gli strozzapreti, il maialino e addirittura la rocciata di Assisi. Il tutto elaborato dallo chef Massimiliano Piccirillo, diplomatosi all’Alberghiero di Assisi già vincitore del concorso “Il Sedano di Trevi” nel 2015.
Come descrive e osserva l’antropologia dell’alimentazione i ristoranti non sono soltanto attività commerciali. I cosiddetti “ristoranti etnici” sono molte volte spazi di affermazione di un’identità culturale. Identità questa spesso nata a metà strada.
Un po’ quello che vivono in prima persona i fratelli Primo e Secondo Pileggi in “Big Night”, film del 1996 diretto da Stanley Tucci: Primo vuole portare avanti la tradizione, Secondo invece capisce che gli Spaghetti and meatballs è esattamente quello che vogliono i clienti americani.
Conflitti tra fratelli, shock culturale, l’essere stranieri. La risposta giusta nessuno la conosce, nemmeno loro. Ma è il cibo che, alla fine, li (ri)unisce.
