Dal 4 novembre 2023 al 3 marzo 2024, le Logge dei Tiratori a Gubbio ospitano la mostra “I Macchiaioli e la pittura en plein air tra Francia e Italia”, un sincero viaggio tra opere esclusive, provenienti anche da collezioni private, nella luce e nell’arte della macchia.
L’ottocento, per colpa di una certa tendenza letteraria e cinematografica contemporanea, viene di solito descritto e ricordato come il periodo dello struggimento romantico, della natura sublime e potente, o al contrario delle colorate frivolezze, consumate sotto ombrellini, dipinte da alcuni impressionisti. Al racconto nazional popolare manca spesso un intero pezzo di storia dell’arte, dai più appreso frettolosamente a scuola – durante gli anni del liceo, fra un disegno e l’altro su fogli F4, rigorosamente ruvidi – e poi sepolto nelle misteriose oscurità dell’inconscio. La parola “Macchiaioli” suona alle orecchie come certe canzoni d’infanzia, in lingua straniera, che da adulti vorremmo disperatamente riascoltare, solo che non ce ne ricordiamo il titolo né l’autore. Capita poi un giorno che risentiamo proprio quella canzone alla radio e, shazam alla mano, finalmente ci riappropriamo della nostra memoria.
Ci si sente esattamente così all’interno della nuova mostra “I macchiaioli e la pittura en plain air tra Francia e Italia”, inaugurata questo 3 novembre a Gubbio.
L’esposizione, curata da Simona Bortoleno, è allestita all’interno di una delle sale delle Logge dei Tiratori, in un percorso di 80 opere, ordinate non solo in ordine cronologico, ma anche narrativo.

Le opere formano un racconto che dall’abbandono dell’esagerato struggimento romantico portano gradualmente all’apparente spensieratezza delle ombre colorate degli impressionisti.
In questa storia infatti si scopre pian piano il ruolo di quel movimento artistico italiano che fra il 1855 e il 1867, ufficialmente, si riunì sotto l’unica bandiera del termine “Macchiaioli”, originariamente dispregiativo.
Il disprezzo dei più tradizionalisti tra i critici d’arte del primo XIX secolo veniva principalmente dalla tecnica pittorica utilizzata da questi artisiti toscani, e dai soggetti, allora inusuali, rappresentati con disprezzo delle regole accademiche su supporti strambi e rozzi, ad esempio una scatola di sigari.
I nomi più noti del movimento sono Fatturi, Lega e Signorini, i quali insieme ad altri anarchici e repubblicani, si riunivano per bere e disegnare insieme, al caffè Michelangelo a Firenze.
Prove tangibili di questi accesi incontri fra amici appassionati d’arte, politica e cultura, sono delle simpatiche caricature degli stessi, anche loro esposte nella mostra eugubina nell’area dedicata alla “macchia” come concetto tecnico.


In tutto, l’esposizione si articola in 5 sezioni, ognuna incentrata su un tema fondamentale per il movimento macchiaiolo, e contemporaneamente su una delle fasi creative del gruppo stesso, in senso cronologico.
Si parte, quindi, dalle origini francesi e italiane della pittura e plein air, all’aria aperta, con grandi e minuscoli dipinti firmati Palizzi, Fontanesi e De Tivoli, per citarne alcuni.
Il percorso prosegue poi, come uno dei sentieri tra i tanti rappresentati nelle opere di questa mostra, attraverso esempi perfetti della tecnica macchiaiola, per poi mostrare nella terza sezione la concezione di paesaggio per questo movimento artistico, soggetto da rappresentare con crudezza e semplicità fotografica. I macchiaioli difatti dipingevano en plein air ma, dopo aver fotografato i propri soggetti, spesso terminavano le opere in un secondo momento. Nascondevano con cura l’allora vergognoso segreto di trarre ispirazione dalle foto, copiandone i dettagli solo tra le mura sicure del proprio studio, lontani da occhi indiscreti.
La quarta sezione della mostra racconta un altro dei temi centrali della pittura di macchia, e cioè quello della vita quotidiana raffigurata senza invenzione e romanticizzazione. Le Donne che lavorano nei campi, di Cristiano Banti, non sono altro che vere contadine.
Allo stesso modo la Contadina al Gabbro, di Silvestro Lega , non è una ninfa, una dama o qualsivoglia figura mitologica rappresentata in una scena bucolica; è solo, semplicemente, una donna.
Oggi questo tipo di soggetto non genera alcun scalpore: a metà ottocento era pura avanguardia, anche piuttosto criticata.
Il viaggio nella macchia termina con la sezione del percorso espositivo dedicata all’eredità dei macchiaioli.
Come la meta finale di un viaggio, quest’area – nella quale si contendono l’attenzione del visitatore delicate opere di Nicolò Cannicci e dei Fratelli Gioli e Tommasini – mostra la piena crisi del movimento toscano degli anni sessanta del diciannovesimo secolo e la nostalgia che la fine di un percorso artistico e ideologico porta con sé.
Ma contemporaneamente, come ogni crisi, è anche l’alba di un nuovo inizio: quello che poi conduce all’impressionismo.
Il raccordo tra romantici e impressionsti è presto fatto. Il quadro è completo: in 80 opere esclusive, da ammirare e rimirare a Gubbio, per non scordarle più. Almeno stavolta.
La mostra è prodotta e realizzata da Navigare Srl in co-produzione con Diffusione Cultura con il patrocinio del Comune di Gubbio e il sostegno della Fondazione Perugia, in collaborazione con Land, ViDi cultural e ONO arte contemporanea. Partner dell’evento sono l’Istituto Italiano Design di Perugia, l’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia, Fondazione Università delle Arti e Mestieri, con il contributo del travel partner Trenitalia.
Per maggiori informazioni: Macchiaioli alle Logge – Gubbio
