Il vignaiolo ed enologo Giovanni Cenci di Cantina Cenci ci porta alla scoperta delle origini della sua azienda tra le tradizioni dell’Umbria e della sua terra e le innovazioni del nostro tempo.
Come nasce la Cantina Cenci?
«Cantina Cenci sorge oggi su una terra che un tempo era la sede di un antico monastero dei monaci Olivetani, un sottordine dei benedettini, risalente al 1389, dediti alla famosa formula “Ora et Labora”: si può così ben capire quanto i monaci avessero cura delle terre che gestivano, già di per sé vocate all’agricoltura, rendendole fiorenti e fruttuose.
L’azienda conta oggi 40 ettari di cui 6 vitati, locata in una zona collinare e con un terreno prevalentemente argilloso/sabbioso con una notevole presenza di scheletro di travertino, una roccia calcarea formatasi a seguito di precipitazioni alluvionali, ricche pertanto di carbonato di calcio.
Seguiamo l’ agricoltura Biologica, con pratiche di concimazioni organiche e sovesci.
Alleviamo a bacca bianca Grechetto (G5, più “piccolo” e gentile, conosciuto come Grechetto di Todi) Trebbiano Spoletino e Pinot Grigio; a bacca rossa: Sangiovese, Petit Verdot (una piccola porzione utilizzato per il vino San Biagio) e Merlot»

Giovanni parli di “Tradizione e Innovazione”, in che modo questi due termini si legano alla tua azienda?
«In termini di legame con la terra, con la sua antichità e i suoi vitigni autoctoni radicati in terra umbra; riprendere le tradizioni significa riprendere i metodi di coltivazione antichi dei frati, con un’impronta contemporanea ed innovativa: la stessa coltivazione Biologica oggi è alla continua ricerca e studio di come poter ridurre sempre di più l’uso del rame per avere un minimo impatto ambientale, in azienda si lavora poi tanto con pratiche agronomiche per riuscire a sostenere il potenziale della terra rispettandola e anzi valorizzandola. Abbiamo ridotto molto l’utilizzo delle macchine come ad esempio la pre-potatrice: ci siamo accorti che con il tempo questa macchina andava a causare delle lesioni a livello strutturale che poi ti porti dietro nel tempo, ovvero non si potrà avere una vigna vecchia. È la vigna vecchia a fare il vino buono».
“Il vino è vivo, ogni anno è un’esperienza diversa. Non c’è una vendemmia una uguale all’altra e le differenze ti rendono vivo, perché non sei mai arrivato: è un approccio socratico: un- sai di non sapere, per citarlo”.

Anche per il Design delle etichette, Cantina Cenci sposa il concetto di tradizione e innovazione, come si traduce questo concetto a livello d’immagine?
«Prendiamo in esame Anticello-Grechetto 100%, riporta in etichetta la dicitura in latino volgare risalente al periodo medievale del 630, con Lancellotti, monaco Olivetano, che tradusse le Historie Olivetane: a partire da questo testo e attraverso uno studio approfondito nell’archivio storico di Perugia, sono riuscito a risalire alla storia della cantina. Il logo della nostra azienda è la stilizzazione del simbolo presente sulla porta della cantina di un bassorilievo in travertino dell’antico monastero dei frati olivetani e rappresenta il Golgota, i tre monti della crocifissione con sopra una croce e i ramoscelli di ulivo: i quattro puntini sono le generazioni della famiglia Cenci che si sono susseguite su questa terra».
Per le etichette invece? A vederle sembrano delle vere e proprie opere d’arte.
«Non amo definirmi artista, piuttosto saldatore: sulla linea delle etichette bianche sono rappresentate delle opere nate dall’unione della natura e dal recupero di attrezzature agricole dismesse. In particolare sul Pas Dosè da Trebbiano Spoletino è rappresentato “Impollinazione”, un’opera che descrive una libellula su un fiore, saldata su un cuscinetto, rendendola movibile».

Qual è una delle pratiche in cantina che ritieni fondamentale?
«L’importanza del bâtonnage sta tutta nella “bastonatura”, questo perché il vino tende naturalmente a decantare, cioè a ripulirsi da tutti i lieviti e particelle in sospensione. Il bâtonnage è quella pratica che rimette in sospensione quel deposito che andrebbe a mettersi sul fondo. Non si riattiva ma il lievito va in lisi cellulare: cioè un processo enzimatico che degrada la cellula di lievito trasferendo al vino tutti quei composti come le mannoproteine che permettono la rotondità, stabilizzano il vino e danno quei sentori di crosta di pane che troviamo evidente per esempio nel Metodo Classico sicché il tempo sui lieviti è prolungato. Parliamo inoltre anche di fermentazioni spontanee, senza una preparazione di un pied de cuve, soprattutto per quanto riguarda i rossi; per esempio col Sangiovese lo si lascia fermentare con le bucce e tempo 24 ore circa, vi è un avvio naturale della fermentazione, senza controllo della temperatura. La vigna vuole la mano nell’uomo».
Novità di Cantina Cenci da qualche anno è la produzione di spumante Metodo Classico.
«Rigorosamente dosaggio zero, senza cioè l’aggiunta di zucchero (liquer d’expédition). L’ultima annata prodotta è il Pas Dosè Metodo Classico Bio 2019, Pinot Grigio 20 mesi sui lieviti.
Non c’è nessuna aggiunta di sostanze esogene, si lavora esclusivamente con l’uva, andando a ricolmare in fase di sboccatura con lo stesso spumante senza aggiungere zucchero, gomme arabiche et simili; non c’è nessuno espediente tecnologico ma una grande valorizzazione del vino con il suo terroir. Sarà caratterizzato dal frutto che viene preservato. Anche per la sboccatura (dégorgement), avviene molto artigianalmente: mi sono procurato una tappatrice manuale professionale. Ho utilizzato poi il congelatore di mia madre, preparando una soluzione di acqua e sale, ho creato una griglia per posizionare le bottiglie a testa in giù in questa soluzione di acqua ghiacciata (-25°). Così si è creato un tappo di congelamento e manualmente (alla volée) le bottiglie sono state sboccate. A questo punto si colma (liqueur d’expedition) con il vino base, non dosato (pas dosè)»
Chiudiamo l’intervista sottolineando il modus operandi di Giovanni Cenci, che si rifà al Gorino, libero pensatore umbro: “Fate poco, ma fate in modo che quel poco sia molto”.
