Discipline come l’archeologia, la geologia e la speleologia sanno molto bene quanto le rocce ed il sottosuolo possano raccontare e svelare inaspettatamente sul passato di un territorio. Spesso infatti, per scoprire la bellezza non basta sollevare lo sguardo: è necessario scavare e guardare cosa nasconde la nuda terra. È quello che accade anche nella Todi sotterranea.
Sotto la splendida cittadina, fondata fra il VIII e VII secolo a.C. dagli Umbri, si nascondono metri e metri di cunicoli, cisterne, pozzi e cantine, realizzati nei secoli per lo stoccaggio delle materie prime e l’approvvigionamento idrico dell’insediamento.
Oggi quelle vie sotterranee sono in disuso ma continuano a custodire decine di storie: scopriamole in due approfondimenti dedicati.

All’origine delle gallerie della Todi sotterranea
Il complesso di gallerie e pozzi al di sotto della città di Todi ha origini antichissime: i cunicoli più remoti vengono fatti risalire addirittura al II secolo a.C.
Estesi per ben 3 Km sotto l’insediamento, vengono considerati non un insieme separato di siti di interesse geologico ed archeologico, ma una vero e proprio cantiere unico.
Concepire la Todi sotterranea come un tutt’uno permette di dare continuità alle ricostruzioni storiche che lo riguardano. Se i primi canali infatti risalgono al secondo secolo prima di Cristo, quelli più recenti sono dell’800.
Un’osservazione complessiva permette di comprendere come la città sia cambiata nel tempo, anche negli usi quotidiani, aggiungendo pezzi fondamentali al grande puzzle della storia dell’area.
Studiando le caratteristiche del sottosuolo tuderte, si scopre in primis che la città ebbe problemi di frane e smottamenti sin dal periodo degli etruschi.
Ancora oggi, la causa dell’instabilità del suolo costituente il colle dell’insediamento sono i numerosi strati argillosi, capaci di intrappolare notevoli quantità di acqua.
Appena l’insediamento etrusco raggiunse uno sviluppo di tipo urbano stabile, gli abitanti si misero all’opera per realizzare canali di bonifica dei versanti e stabilizzare quindi il terreno di costruzione della città.
È questa la ragione della realizzazione delle gallerie più antiche della Todi sotterranea.
Nel tempo, un altro problema da risolvere per la città divenne quello dell’approvvigionamento idrico. Il colle sul quale sorge il borgo è circondato esclusivamente da alture più basse: questa localizzazione non permetteva quindi in alcun modo la costruzione di un acquedotto proveniente dall’esterno.
Per ovviare alla problematica della carenza d’acqua furono realizzate nei secoli cisterne, pozzi e gallerie di raccordo che vennero abbandonate completamente soltanto molto di recente, nel 1925.
Nel ’25 venne terminato il nuovo acquedotto moderno ed iniziò la lenta ed inesorabile scomparsa del mestiere del fontaniere, colui che si prendeva cura della manutenzione proprio delle cisterne e dei cunicoli oggi appartenenti alla Todi sotterranea.
In alcune case dell’antica città è anche possibile trovare ancora cantine e depositi antichi, sfruttati per lo stoccaggio delle materie prime solo in passato.
Tutto questo insieme di pozzi, scavi, canali di scolo, cantine, oggi viene per comodità suddiviso in 6 aree: le gallerie della Fabbrica della Piana, la neviera della valle, la fonte delle logge, il pozzo del vicolo scapocollatore, l’acquedotto romano di Ilci e la fonte dei Pontecuti.
La Fabbrica della piana: grande opera urbana di bonifica
Il termine “fabbrica” è spesso sfruttato dai tecnici per riferirsi ad un cantiere storico, che ha poi generato una grande opera: sempre a Todi si parla ad esempio di Tempio della Consolazione e relativa Fabbrica della Consolazione, cioè il cantiere e l’insieme di persone, manovali, mittenti, artigiani, che ne hanno permesso la realizzazione.
Perciò quando si parla di Fabbrica della piana ci si riferisce nello specifico ad un’area localizzata sul versante nordorientale del colle di Todi, un cantiere realizzato nel XIX secolo come opera di bonifica della nota frana che distrusse un importante tratto delle mura della città nel 1814.
Il cantiere rimase aperto per più di 100 anni, ma non solo a causa delle dimensioni dell’opera.
La bonifica e lo scavo dei canali di scolo richiese grandissimi somme, che non furono erogate in maniera continua dai finanziatori delle strutture.
Il lavoro fu così complesso che già ai suoi inizi, nel 1815, l’allora noto Ingegner. Ferrari affermò con fatalismo che non restava altro che “ far sloggiare la città”.
La visita interna della fabbrica della piana permette di apprezzare il complesso sistema di pozzi, cisterne e gallerie creato appositamente per drenare le acque sotterranee all’esterno del colle. Come già riferito infatti erano queste le principali cause di smottamenti e crolli del suolo.
Al cantiere lavorarono illustrissimi ingegneri dell’epoca, portati a Todi dal Regno di Napoli, dai territori del Papa e persino dal Regno di Francia.
Fu necessario tutto l’ingegno di queste menti creative per realizzare i profondi pozzi, scalinate e gallerie destinate al rallentamento dello scorrimento delle acque sotterranee.
Il problema era talmente vasto che fu necessario scavare al di sotto del muraglione di Clemente XIII, terminato nel 1762.
Non solo; furono intercettate anche gallerie di epoca romana, realizzate per scopi simili ma naturalmente nell’800 profondamente danneggiate e non in uso.
Probabilmente l’intervento più impegnativo fu il restauro del così detto fosso Boccajone. Ancora oggi vi si raccolgono le acque di scolo della città.
Tutta l’opera realizzata tramite la Fabbrica della Piana ha quindi dimensioni impressionanti, che lasciano di stucco il coraggioso visitatore che vi si cala internamente. Soprattutto se si immagina sopra di sé tutta la città viva e attiva, ignara della presenza dell’esploratore sotterraneo.
Questi cunicoli infatti non sono più molto noti ai cittadini di Todi. La memoria della Fabbrica resta ancora impressa alla luce del sole solo in quello che viene denominato “Viale della Fabbrica”.
La neviera della valle
In Via delle Mura Etrusche si trova la così detta Neviera della Valle, un curioso spazio sotterraneo, ripulito da alcuni detriti dall’Associazione Toward Sky, gruppo culturale che dal 1999 si occupa di ricerca storica e archeologica in tutta l’Umbria.
Come confermato dallo studio di alcuni documenti reperiti presso l’Archivio Storico Comunale e dall’analisi tecnica delle caratteristiche della cisterna, questa è in effetti una “neviera”, cioè un’antica ghiacciaia nella quale veniva conservata l’acqua solida di origine naturale.
Sistemi di refrigerazione come i congelatori sono stati inventati solo molto di recente. L’unico modo per ottenere del ghiaccio in passato era proprio raccoglierlo in inverno, o dove era sempre reperibile, nelle alture, o quando cadeva al suolo sotto forma di neve. Veniva poi conservato in strutture apposite: le neviere per l’appunto.
In Umbria sono veramente pochissimi gli ambienti studiati e certificati di questo tipo. L’unica analisi regionale strutturata, ulteriore rispetto a quella della ghiacciaia a Todi, riguarda la Neviera di Monte Tezio, nel comune di Perugia, effettuato dall’Associazione Culturale Monti del Tezio.
La rarità di questa tipologia di costruzioni ipogee in Umbria le rende ancora più affascinanti, soprattutto conoscendone in profondità le antichissime caratteristiche.
La parte più antica della Neviera tuderte è di epoca romana. È costituita da una stanza rettangolare di 5,10 metri per 4,7. Le pareti dell’ambiente sono in opera vittata, chiuse in alto da una copertura a volte.
Questa costruzione più antica probabilmente era in origine aperta sulla strada, ma fu presto chiusa in epoca tardo antica a formare un semplice ambiente di stoccaggio.
La struttura non venne utilizzata come ghiacciaia fino al 1826, anno in cui venne venduta ad un certo Tobia Ottoni, un medico chirurgo di Todi.
Probabilmente l’Ottoni scelse con cura il luogo dove costruire la sua neviera dato che l’ambiente da lui acquistato presentava caratteristiche ideali dal punto di vista strutturale per lo scopo. Ma perché scelse di costruire proprio un ambiente di questo tipo?
Nell’800 vi fu un grande boom del commercio di ghiaccio. La nascita della borghesia infatti aveva provocato la rapida diffusione di questo bene in ampie fasce della popolazione, quindi l’aumento della domanda. Inoltre il ghiaccio era entrato a far parte di alcune filiere produttive importanti.
Probabilmente Tobia Ottoni, descritto come medico competente e uomo furbo all’interno dei documenti dell’epoca, fiutò l’affare. Il ghiaccio inoltre gli era essenziale anche per la propria professione sanitaria.
L’intervento effettuato nell’ambiente acquistato in origine consistette nell’approfondire il livello antico di circa 6 metri sotto la strada. Venne probabilmente rimossa in questa fase anche la pavimentazione romana della cisterna, andata quindi oggi perduta. Fu costruita infine una seconda stanza in comunicazione con la prima.
Ma come funzionava la neviera e come si utilizzava? Vi si accedeva attraverso 2 sportelli: uno sopra la cisterna e uno dopo.
Grazie ad una ripidissima e scomoda scala si poteva accedere alla ghiacciaia e prelevare la neve necessaria agli scopi domestici.
Lo spessore del materiale immagazzinato era indicato sulla parete con una scala graduata, dipinta in colore nero. Tale pittura è visibile ancora oggi.
In tutto la cisterna poteva conservare circa 98 metri cubi di ghiaccio e neve.
Di certo la visita a questa struttura, cupa ed in un certo qual modo inospitale, fa apprezzare molto di più l’odierna possibilità di usufruire dei moderni freezer, anche se molto più piccoli.
Purtroppo, la struttura tipica del suolo tuderte causò anche alla neviera dell’Ottavi problemi gravi ed irrisolvibili con le tecnologie dell’epoca.
La neviera divenne inutilizzabile nel 1848 a causa di un afflusso di acque sotterranee nella cavità.
Sprovvista di vie di deflusso, che non erano state previste durante la costruzione, si allagò irreversibilmente. Ancora oggi è possibile vedere dell’acqua sul fondo della cisterna, a testimonianza dell’accaduto.

Fonte delle Logge
Di scoperta molto più recente è la Fonte delle Logge, un edificio in muratura sepolto dal tempo sotto il suolo tuderte, ma originariamente posto all’aperto, e ritrovato solo nel 2015 dopo due secoli di totale oblio.
Probabilmente, la fonte è quella citata del Liber Communantiarum Communis Tudertis del 1282, la Fons Logis.
Per secoli svolse la funzione di fonte pubblica coperta, costituita da tre vasche. Non è noto precisamente il momento in cui smise di essere utilizzata.
È certo che nel censimento delle fonti del 1836 risultava già asciutta a causa dell’accumulo di detriti argillosi.
Si trovava in effetti in una zona soggetta a smottamenti ed alluvioni, quella che attualmente è la località Peschiera, fuori dal centro storico di Todi.
Purtroppo, la fonte non è ancora stata riportata alla luce, nonostante il grande interesse storico, perciò se ne sa poco rispetto a quanto sarebbe possibile scoprire. Sono comunque stati già presentati negli ultimi anni dei progetti per la realizzazione dello scavo.
Resta per ora accessibile solo attraverso lo sfondamento di una delle volte a crociera. Molto della struttura non è comunque visibile a causa dei detriti. Ne è stata fatta una ricostruzione 3D per apprezzarne le dimensioni e le caratteristiche.
Todi sotterranea continua…
Le sorprese del sottosuolo di Todi sembrano non finire mai. È strano pensare che sotto l’asfalto ed il terreno dei campi possa nascondersi così tanto: anche un acquedotto nascosto, un pozzo ed una fontana dimenticata.
Questa esplorazione così particolare va fatta letteralmente a piccoli ed attenti passi, ma nonostante ciò continuerà: nella seconda parte di questo viaggio.

Per approfondimenti e maggiori informazioni sulla Todi sotterranea ed eventuali visite:
Foto e video: Associazione Culturale Toward Sky