Mucciafora, frazione di Poggiodomo, Comune più piccolo dell’Umbria, è un connubio perfetto tra storia, natura e leggenda.
Il borgo di Mucciafora è la frazione più elevata del piccolo comune di Poggiodomo. Il castello medievale, sorto nel XIII secolo, è collocato a 1070 metri d’altitudine ed è tra le frazioni più alte della Valnerina. Perfettamente incastonato tra le montagne, Mucciafora è un luogo magico, circondato da una natura incontaminata e permeato da un’aura di religiosità, come gran parte dell’Umbria.
Questa rocca medievale di confine visse una storia travagliata, essendo stata centro di aggregazione per i ghibellini della zona e successivamente distrutta nell’agosto del 1489. Ricostruita, tornò alla sua normale vita di paese, fino al triste e grave episodio del 1943. Il 4 novembre di quell’anno un gruppo di partigiani fece ingresso nell’abitato e si asserragliò tra le case. Il 30 novembre, tre colonne nazifasciste attaccarono il paese e cacciarono i partigiani dopo una serie di scontri, accanendosi poi sugli abitanti inermi ed uccidendone sei. L’eccidio è ricordato da un monumento e da una targa posti al centro del paese, per non dimenticare la barbarie di questo efferato avvenimento.

Al centro del paese si trova la chiesa di Santa Giuliana, costruita nel 1300 circa. Fino all’editto di Saint Cloud, che stabilì il divieto di sepoltura dei defunti all’interno delle mura, Santa Giuliana fu la tomba dei Mucciaforini.
La chiesa, composta da una pianta rettangolare con volta a botte, ha sulla parete di fondo un unico altare. Attraverso due botole si accede alla camera sotterranea preposta all’inumazione delle salme. Al piano superiore ospita quella che era la vecchia canonica.
Come ogni paese della nostra misteriosa regione, anche Mucciafora conserva gelosamente le sue leggende. Le storie che si raccontano su questo luogo, collocato fuori dal tempo, sono diverse tra loro e tutte interessanti.
In particolare, la tradizione popolare racconta di una donna che venne sepolta qui agli inizi del 1800. La sventurata sembra fosse un caso di morte apparente e si trovò praticamente sepolta viva. Secondo i racconti la sua salma fu ritrovata, durante l’inumazione in una posizione strana, mossa rispetto a quella originaria. Si dice che la sfortunata donna abbia provato ad uscire, alzando le pesanti botole di pietra della cripta, ovviamente senza riuscirci. Una storia da brividi lungo la schiena!
Di fronte alla cripta troviamo la chiesa principale del paese, San Bartolomeo. L’edificio, in stile romanico, è stato arricchito da altari e soffitti a cassettoni in legno, ricostruito nel 1703 dal parroco Don Mattia Amadio. Questa figura di sacerdote è molto conosciuta in zona. All’interno della chiesa in cui è sepolto troviamo l’iscrizione, da lui stesso voluta: “Qui giace Don Mattia Amadio che non amò abbastanza iddio, calpestate le sue ossa ma pregate per lui”. Il sacerdote predicò a lungo in tutto il territorio nursino, si dice compiendo anche miracoli. Tra questi l’episodio accaduto nel 1735 quando il sacerdote si trovava a Norcia per una missione e dalla ferita al petto della Madonna Addolorata, una tela che portava sempre con lui, uscirono lacrime color argento. I nursini interpretarono l’accaduto come un particolare segno di benevolenza della Madonna nei loro confronti. Da allora la Madonna viene anche invocata come protettrice dai terremoti.
Vecchie storie tenebrose raccontano di un parroco dei primi del 1900, ormai defunto, che sembra ancora vegliare sulla sua canonica sopra Santa Giuliana, apparso in passato come fantasma.
Ovviamente il confine tra realtà e fantasia è sempre molto labile in questi racconti di paese, che contribuiscono a tener vive tradizioni e memorie. Questi borghi, che oggi soffrono il fenomeno dello spopolamento, devono poter tornare a vivere e fiorire attraverso un turismo culturale e naturalistico sostenibile, sono un tesoro prezioso da proteggere e tramandare.
