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Due passi lungo il corso di Perugia e appare chiaro anche all’occhio meno acuto che la città, nonostante le svariate modifiche avvenute nel corso dei secoli, mostra un assetto e delle linee ancora fortemente medievali. In effetti non è sbagliato dire che tra i centri storici italiani il nostro capoluogo di regione è caratterizzato proprio da questa particolarità. Proprio questo ci aiuta e non poco, a immaginare quelle che erano le esperienze quotidiane della popolazione urbana tra XIII e XIV secolo. Quindi la scenografia già c’è ed è di prim’ordine, a questa dobbiamo solo aggiungere alcune nozioni storiche e far lavorare a nostra fantasia. Se accettate la sfida del gioco, possiamo cominciare.

Tralasciamo gli aspetti riguardanti le istituzioni e le ufficialità, questi sono ambiti studiati a scuola e che tutto sommato ci interessano meno solitamente; andiamo invece a guardare da vicino quelle usanze e quelle norme che strutturavano la vita di tutti i giorni. Di secoli ne sono passati è vero, ma l’intelaiatura della vita degli uomini, a guardar bene, non si è modificata poi così tanto; forse a guardar bene, la distanza tra ieri e oggi è più breve di quello che pensiamo. Ma iniziamo questo salto nel tempo.

La vita brulicante aveva la sua massima espressione nei mercati, i luoghi adibiti a questo scopo erano Piazza Matteotti, Piazza Danti e Piazza IV Novembre. In Piazza Matteotti, detta del Sopramuro, si vendevano vasi, cedri, aranci, meloni, carni di maiale e pollo. Paglia, erbe e frutti si esponevano in Piazza del Papa, dietro il Duomo (l’attuale Piazza Danti), mentre nella seguente Via Bartolo stavano i sellari e i funari. In Piazza IV Novembre, cioè Piazza Grande era in mostra la merce dei calzolari, antica arte che per importanza veniva subito dopo quella del Mercanzia e del Cambio. Nelle zone dove era consentito il mercato vigevano forti sanzioni riguardo la pulizia e l’immondizia, infatti ogni cittadino era tenuto a rispondere del pattume trovato di fronte la propria abitazione. In Piazza Grande e nelle cinque via regali che si diramavano da essa (corrispondenti ai cinque attuali rioni), non potevano esserci stalle, resti di carne, di sangue o pelli, né tanto meno sego e acque sporche. Quest’ultime erano i residui dei risciacqui fatti dai barbieri o dalle lavatrici di capo, professione tipica per l’epoca eseguita da donne che venivano spesso accomunate alle fattucchiere.

Altre umili professioni come quelle dei calderai (lavoratori del rame) non avevano un posto assegnato nei mercati; leggendo lo statuto del Comune questi lavoratori dovevano addirittura stare almeno a dieci abitazioni di distanza dalla casa di un professore. La stessa distanza era prevista per i luoghi di lavoro delle meretrici rispetto alle chiese. Questa categoria professionale non aveva vita facile nei cosiddetti “secoli bui”; gli ufficiali di pattuglia avevano l’ordine di scacciarle via da alcuni luoghi preposti, come ad esempio la zona di Sant’Ercolano (il principio dell’attuale Corso Cavour), luogo famoso per la frequentazione, tra gli altri, anche di vagabondi e ruffiani. In più i proprietari dei postriboli erano costretti a pagare delle gabelle al Comune che a sua volta le utilizzava per rimettere in sesto gli immobili di sua proprietà.

Due curiosità toponomastiche ci danno informazioni preziose sulla vita di allora. La prima riguarda l’attuale Via Oberdan che allora era chiamata della Pesceria o Tempio delle Lasche; qui infatti veniva venduto il pesce, il luogo specifico era il piano terra di Palazzo Armellini. La seconda particolarità riguarda l’evocativa Via delle Streghe; la stradina stretta e tortuosa venne così nominata per la credenza che vi abitassero le fattucchiere. A questi individui dai poteri sovrannaturali ci si rivolgeva per conoscere il sesso dei nascituri, la fedeltà dell’amatola causa delle malattie e per attuare o far terminare i malefici. La magia umbra aveva forte risonanza, così come la lotta che le istituzioni sia che religiose che laiche le facevano, non dimentichiamoci che fine fece la famosa strega Matteuccia di Ripabianca, arsa sul rogo nel 1304.

Ma l’emarginazione sociale non era solo a sfavore dei diseredati, ne pagavano lo scotto anche quelli di rango più elevato. Tradizione vuole che alle famiglie cadute in disgrazia venisse applicato vicino al portone di casa un simbolo che ne decretava la decadenza, questo era una rosa alla quale mancava un petalo. C’è ancora una testimonianza in pietra di questa pratica, alla fine di via dei Priori, nell’angolo a destra del Comune.

Non mancavano nella città medievale, quelle che oggi chiamiamo “strutture ricettive”, locande, osterie, alberghi e luoghi di ristoro, dove viaggiatori e pellegrini potevano rifocillarsi e all’occorrenza dormire. Pasti, vino e giochi potevano però durare fino alla terza ora di notte, non di più, dopo di che, per motivi di pubblica quiete si dovevano “chiudere i battenti”. Mercati e feste patronali a parte, Perugia era famosa per le fiere annuali, tra le quali spiccava quella di Ognissanti, giunta non a caso fino ai nostri giorni con il nome di Fiera dei Morti. In quegli anni l’evento durava dai 15 ai 30 giorni, a partire dalla fine di ottobre. Oltre alla spinta economica e all’aria di festa che dava alla città, non vi mancavano i casi di disordine pubblico: furti, monete false, risse e omicidi. Proprio per evitare conseguenze così disastrose, durante la Fiera era severamente proibito portare armi.

Gioco, divertimento e spettacolo erano portati anche dalle rudimentali forme di sport allora in voga. Se gli uomini di alto lignaggio si cimentavano con gare equestri, erano trasversali a tutte le classi sociali il gioco del pallone, della palla al bracciale, della pillotta, della ruzzola (o ruzzolone, in base alla dimensione del disco) e delle bocce. Un gioco di particolare richiamo e che di fatto altro non era che la riproposizione di una battaglia, ma senza l’utilizzo delle armi da taglio, era la “sassaiola”. In questa attività apparentemente ludica le due fazioni, schierate l’una opposta all’altra, si lanciavano sassi con l’ausilio di fionde per poi arrivare a violenti corpo a corpo con tanto di pugni, gomitate, bastonate e mazzate. La finalità era la conquista del centro del campo di battaglia dove si svolgeva lo scontro … gioco intelligente vero? Proprio per la sua natura cruenta ed il conseguente disagio, le normative stabilirono un luogo consono al suo svolgimento (Piazza del Sopramuro) così da non infastidire troppo i cittadini del corso.

Come si desume erano dunque gli statuti a dirigere la vita delle persone, non solo dei vivi, ma anche dei morti;  i funerali stessi erano rigidamente regolati dalla normativa. Il soggetto passato a miglior vita doveva essere vestito con i capi più lussuosi che la famiglia poteva permettersi in base alla propria situazione economica; durante l’esposizione della salma all’interno dell’abitazione, tanti erano i preti e i prelati che la visitavano tante più possibilità aveva lo spirito del defunto di entrare nel regno dei cieli. Un usanza del tempo voleva che le vedove nel ricevere le condoglianze si lasciassero andare a fortissimi lamenti di disperazione, con tanto di vesti strappate, volto escoriato dai graffi e ciocche di capelli strappate con le proprie mani. Alle loro grida si univano poi quelle della folla, quando il feretro veniva portato sino in chiesa, mentre a funzione finita si tornava nuovamente a casa del defunto per consumare il rituale banchetto funebre. Nel tempo le leggi comunali imposero delle costumanze più sobrie, epurandole dalle cruente scene di autolesionismo da parte delle donne e lasciando l’uso dell’abito nero come segno di lutto.

Infine diamo un’occhiata a quella che era una realtà ancora poco permissiva riguardo gli incontri amorosi tra i più giovani. Risale alla metà del Trecento una legge che proibiva ai corteggiatori di sostare in chiesa o nelle vicinanze di questa finché non iniziava la messa. Lo scopo era naturalmente quello di evitare eventuali incontri furtivi tra gli spasimanti in un momento in cui il controllo da parte delle famiglie era relativamente meno rigido. Senza essere irriverenti potremmo vederlo come un metodo contraccettivo dell’epoca per evitare gravidanze indesiderate, soprattutto considerato che l’unico contrasto alla fornicazione era appunto l’astinenza.

Fonte di questo articolo è ancora un libricino trovato per caso “Alla scoperta della Perugia nascosta” di Emi Mori, stampato nel 2004 dalla Volumnia Editrice. Ancora grazie a questi autori che interessandosi della propria storia ci fanno riscoprire la nostra.