Prostituzione ovvero “attività abituale e professionale di chi ottiene prestazioni sessuali a scopo di lucro”, questa è la definizione che ne dà la Treccani. L’atto di vendere il proprio corpo in cambio di denaro è un fenomeno assolutamente trasversale, esistito in tutte le epoche e in tutte le civiltà. Come tutto ciò che è antico, quanto la storia dell’uomo, l’approccio all’argomento non deve essere di opposizione ma di curiosa comprensione, la cosa più interessante sta in effettivamente proprio nell’osservare come, con l’andare del tempo, il meretricio si sia trasformato in base al contesto in cui si è trovato, a volte utilizzandolo a suo vantaggio oppure venendone osteggiato e sottomesso.
Nel 2016 è stato pubblicato un interessantissimo testo basato proprio su questo argomento, “Perugia a luci rosse” di Sandro Allegrini, edito dalla Morlacchi Editore, che svela una moltitudine di aneddoti, storie e curiosità, proprio riguardo al mestiere più antico del mondo nella città del grifo. Da questa ricerca rigorosa ed attenta sono partite le ricerche che hanno portato alla stesura di questo “breviario”.
Si parte dal Medioevo, epoca in cui tutta la categoria in questione veniva ampiamente riconosciuta, ma anche utilizzata dal potere pubblico; vi era infatti la “gabella postriboli”, specifica tassa proprio per i bordelli. In questo caso il pagante era proprio il proprietario del casino che ovviamente non mancava di sfruttare a sua volta le lavoratrici che operavano sotto il suo tetto. Se per qualche motivo questo “pappone” dei tempi passati non era soddisfatto delle prestazioni delle prostitute poteva anche arrivare a picchiarle, cosa consentita dalla legge purché non si arrivasse al sangue o alla rottura delle ossa. Proprio la legge vincolava fortemente la vita di queste donne, solo per fare un esempio, lo statuto imponeva loro di abitare a non meno di dieci case dalla chiesa più vicina, cioè ad almeno 80 metri di distanza. Pene molto severe riguardavano le ruffiane che tentavano di traviare donne già maritate verso l’adulterio, in tal caso la punizione poteva essere la rasatura del capo per poi essere sferzate lungo le vie principali della città. Non mancavano le punizioni verso la scelta sbagliata della clientela, non erano ammessi né ebrei né lebbrosi, categorie considerate nocive da un punto di vista religioso e sanitario.

In quel di Perugia, il luogo destinato al sesso era il vicolo della Malacucina, zona centralissima (tra Corso Vannucci e Piazza Matteotti);chi veniva trovata a praticare al di fuori di questa zona era sottoposta ad una multa e ricondotta al vicolo predestinato. Il controllo del mercato sessuale era d’altronde mirato ad evitare il degrado cittadino, visto che parte della clientela era composta da soggetti facinorosi. Non è un caso se, sempre secondo le leggi, nel vicolo suddetto era consentito il porto d’armi solo a poche persone preposte e proibito agli altri. I prescelti fungevano così da vigilanti atti a sedare i casi di violenza o ubriachi molesti.
Un primo passo in avanti a favore delle operatici del settore avviene nel 1425, quando il legato pontificio della città decretò per le meretrici la fine del pagamento della tassa di postribolo e prostituzione. In più, con il passare degli anni vi furono ulteriori modifiche riguardo la localizzazione urbana del quartiere “a luci rosse”. Dal vicolo di Malacucina si passa in Via Volte della Pace.
Quasi superfluo dire che, non solo le istituzioni pubbliche, ma anche quelle religiose osteggiavano e sfruttavano le sventurate donne. Alle poverette veniva imposto un pagamento per partecipare alle processioni, atto trovato così ingiusto dagli stessi liberi cittadini che nel ‘600 proprio questi scrissero una lettera di supplica alla curia vescovile chiedendo l’abolizione di questo dazio.
Ma torniamo al quartiere del peccato che, con il passare dei decenni, cambia nuovamente locazione, non più in Via Volte della Pace, ancora troppo centrale, ma Via della Viola, più periferico. Non è l’unico cambiamento importante, scompare il pagamento delle gabelle al Comune da parte dei proprietari dei bordelli. Non va pensato che così scomparvero le strutture in sé, che al contrario proliferavano, di pari passo all’aumento delle professioniste che operavano nelle proprie case e quindi non alle dipendenze di un protettore; i luoghi più battuti da queste libere professioniste erano le zone più decentralizzate ovvero i vicoli verso Porta San Pietro e Porta Sant’Angelo.
Nell’800, periodo di scontri e guerre, una delle categorie clientelari più proficue erano i militari, soldati stranieri (come le truppe napoleoniche) che, per motivi di forza maggiore si assiepavano per la città in cerca delle case di appuntamento.
Alle soglie del XX secolo anche Perugia vantava un certo numero di bordelli, differenziati a seconda della capacità del portafoglio delle rispettive utenze. Via Pinturicchio aveva case d’appuntamento per uomini abbienti, mentre in Via del Melo gravitavano clienti sicuramente più indigenti come militari e operai. Donne di dubbia fama gravitavano ormai anche nella parte centrale, alcune di loro ottennero grande fama, come una certa Didì, richiesta professionista d’alto bordo che lavorava in Via Ritorta. In Via Corrotta, fu aperto uno dei primi casini, luogo di poche pretese e con clienti dal portafoglio leggero; col tempo il bordello fu spostato in Via del Poeta dove è rimasto operativo fino alla fatidica chiusura dell’attività a causa dell’entrata in vigore della Legge Merlin. Maggiori erano gli incassi nelle case di tolleranze in Via del Prospetto, chi usufruiva dei suoi servizi proveniva da un buon ceto sociale, di conseguenza erano migliori anche le prestazioni del casino: il cliente veniva lavato prima del sesso con acqua e sapone mediante la presenza di un “comodo”, una struttura in ferro con dei recipienti di ceramica che fungeva da lavandino e bidè. I clienti più ragguardevoli che volevano mantenere l’anonimato venivano fatti entrare per una porta secondaria, in modo da poter accedere alla così detta “stanza del prete”, qui il personaggio misterioso sceglieva la ragazza preferita tra quelle presenti all’interno della casa.
Interessante curiosità era il prezziario di questi bordelli, tariffe che si differenziavano in base alla prestazione. La minima era la “semplice” e si trattava di un rapporto consumato in pochi minuti, la “doppia” consisteva in una sveltina meno fugace di quella precedentemente descritta. Un prezzo ancora maggiore permetteva di arrivare al “quarto d’ora” (la cui tariffa era già considerata alta) e continuando a salire con il pagamento ci si aggiudicava la “mezz’ora” o la piena “ora”. Il non plus ultra era la nottata, inaccessibile a chiunque non fosse di una classe molto agiata.
Dal punto di vista sanitario le prostitute erano tutelate attraverso costanti controlli all’ambulatorio dermoceltico (o venereologico). Se durante uno di questi esami una ragazza era trovata positiva a qualche malattia sessuale veniva sottoposta a ricovero forzato, anche se va detto che, in base alle testimonianze la quarantena era più simile ad una prigionia che ad un periodo di cure.
Data spartiacque del meretricio fu il fatidico 20 settembre 1958, giorno in cui diventa effettiva la legge Merlin, così chiamata dal nome dell’onorevole che la fece approvare. Le ragazze diventano libere e padrone di sé, almeno sulla carta. Tra i lati positivi di questa disposizione c’era l’abolizione della registrazione delle donne in quanto prostitute, una decisione che toglieva l’onta di dover dichiarare pubblicamente una professione ancora socialmente infamante; allo stesso modo fu rimossa anche l’impossibilità dei loro figli ad accedere alle carriere pubbliche, cosa prima impossibile. La legge però ebbe anche i suoi aspetti meno felici, innanzitutto non fece diminuire il fenomeno, al contrario questo continuò ad aumentare, riversandosi per le strade. La fine di una forma di vigilanza e di controllo portò all’ulteriore diffusione delle malattie veneree e aumentò il rischio per le donne stesse di aggressioni personali, costringendole di fatto ad affidare la propria protezione a nuovi sfruttatori.
